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giovedì 19 marzo 2009

Rettiliani 9 - Testimoninanze nella Historia regum Britannie (1136)

La Meteora ed il drago

Interpretazione clipeologica di un passo contenuto nell’Historia regum Britanniae

di Antonio Marcianò



Geoffrey di Monmouth (Monmouth, Galles, 1100 ca. – Llandaff 1155 ca.) è lo scrittore medio-latino di origine gallese, che compose l’Historia regum Britanniae (1136). L’opera, in sette libri, ripercorre le leggendarie vicende dei re bretoni, dall’eponimo, Bruto, presunto pronipote di Enea, sino alla fine del VII secolo d.C. Il nucleo principale riguarda il meraviglioso regno di re Artù (prima metà del secolo V). Il testo, che produce come fonte un liber vetustissimus, è stimata dagli studiosi per lo più il frutto di una sbrigliata immaginazione, anche perché i contemporanei considerarono Geoffrey un mistificatore, per quanto geniale. Tuttavia l’Historia, in cui si rintracciano le radici del ciclo bretone, ebbe un lusinghiero successo.
Come spesso accade nel caso di racconti tradizionali e saghe, penso che, nel testo, a notizie inverosimili e ad invenzioni, si alternino tracce di avvenimenti realmente accaduti: infatti miti e leggende adombrano delle verità, che naturalmente devono essere enucleate e sottoposte ad analisi. Con questo spirito mi accingo ad esaminare un episodio dell’Historia, nella consapevolezza che la mia interpretazione è solo un’ipotesi, passibile di essere falsificata o, forse, aperta a qualche conferma, grazie a riscontri letterari ed a testimonianze più o meno recenti.

Tra i vari passi dell’opera, mi vorrei soffermare, nell’ambito di questo breve studio, su un brano che è suscettibile di un’interpretazione clipeologica, che, tra l’altro, concerne un personaggio-chiave della storia bretone, il famoso re Artù. L’autore, che fu anche vescovo di Saint Asaph dal 1152, ricorda che l’arrivo del valoroso sovrano fu annunziato a suo padre Uther, dall’apparizione di un’enorme meteora dalla quale si formò un drago. Uther allora fece costruire due draghi, veri capolavori dell’artigianato, per donarne uno alla cattedrale di Winchester e per tenerne uno per sé come emblema personale. Da allora fu chiamato Uther Pendragon e pure il figlio adottò un drago aureo nel suo stendardo.

Gli aspetti degni di nota di tale narrazione sono, a mio parere, tre: la radiosa meteora che preannunzia la nascita di Artù; la presenza iconografica del drago che connota la tradizione dei re di stirpe gaelica prima e, successivamente, le dinastie inglesi sino all’età moderna; il significato del nome Uther Pendragon.

Termini come “stella”, “meteora”, “cometa”… , presso gli scrittori antichi e medievali possono, in un’ottica clipeologica, adattarsi anche alla rappresentazione di ordigni volanti dalle caratteristiche tecnologiche. Tali vocaboli, che derivano da una forma mentis estranea alla tecnologia spaziale, si rivelano idonee metafore per indicare dei velivoli. Non si può dunque escludere che l’autore descriva una smisurata astronave, di cui evidenzia la rutilante luminosità. Parole analoghe sono impiegate da Ildegarda di Bingen, solo per rimanere in un ambiente medievale coevo. Infatti in un testo della mistica tedesca, Scivias: il nuovo cielo e la nuova terra, è riferita una sua visione nel modo seguente: “Vidi una struttura gigantesca e scura simile ad un uovo… Lo strato esterno era interamente costituito da un fuoco scintillante e nella parte inferiore giaceva qualcosa di simile ad una membrana scura… La vampa lo scuoteva con un fragore simile al tuono, con una bufera ed una grandine di sassi appuntiti, grandi e piccoli”.

Ancora un’altra “testimonianza” della badessa: “Accadde nell’anno 1141… io avevo quarantadue anni e sette mesi, quando improvvisamente dal cielo aperto scese una luce sfavillante.”

Il drago è un simbolo molto pregnante: non è questa la sede per sviscerare i molteplici e ricchi significati di tale archetipo. Mentre perciò rimando ad opere specialistiche e monografiche, qui mi limito a rilevare i valori salienti del drago nella cultura e nell’immaginario. Presso gli Egizi, i Greci e nelle civiltà asiatiche recepite dall’Islam, era un mostro delle tenebre, combattuto da dei ed eroi solari. I Celti ed i Germani, invece, lo reputavano un essere terribile che incuteva spavento. Era inoltre saggio e potente cosicché poteva essere vinto solo da un eroe illustre ed ardimentoso. Questa immagine di un potere straordinario, al di fuori di qualsiasi giudizio etico, perdurò presso i popoli nordici fino alla loro conversione al Cristianesimo. Sia i Vandali sia i Longobardi si valsero di tale animale nelle insegne militari. Come emblema dei Vichinghi, il drago trasfondeva il suo valore a chi combatteva sotto il suo segno, incitandolo ad azioni magnanime, mentre esso spaventava gli avversari. Così i Normanni, per non inimicarsi, atterrendole, le genti sulle cui terre si accingevano ad approdare, segavano la testa di drago collocata sulla prua delle navi (i drakar), appena si avvicinavano al litorale. Il monaco Widukind di Corvey, alla fine del X secolo, interpretava il drago dei Sassoni pagani come simbolo di prudentia, ma due secoli dopo, con la diffusione della religione cristiana fra i Germani, il drago assunse connotati negativi che risalgono all’Apocalisse. Perciò non furono più eroi pagani come Eracle o Sigfrido a sconfiggere l’animale, ma santi come S. Michele e S. Giorgio o intrepidi cavalieri cristiani. Non ostante la demonizzazione, l’effigie del drago continuò a comparire sugli scudi e sugli stendardi e non solo nel mondo anglo-sassone, ma anche in altre nazioni, come in Italia, dove furono specialmente le famiglie ghibelline a portare l’arma col drago.



Historia regum Britanniae (1136)






Questo, per sommi capi, il significato culturale del drago: sennonché certi autori hanno colto in questo animale raffigurato un po’ dappertutto (nei miti, nei bestiari, sulle cattedrali, sugli stemmi, sui vessilli…) il riferimento trasfigurato alla presenza di esseri rettiliani che dominerebbero l’umanità da tempo immemorabile. Tali creature, originarie forse della costellazione del Draco o provenienti da una dimensione parallela, sono esseri carnivori di indole aggressiva e sarebbero gli artefici del programma che contempla i rapimenti, le mutilazioni del bestiame e quelle umane. La loro struttura genetica è affine a quella dei rettili da cui, stando ad alcuni ricercatori, si sono evoluti. Al loro servizio opererebbero le differenti razze dei Grigi. Il cervello di questi alieni, tipicamente rettiliano, implica un assoluto predominio delle pulsioni egoistiche sulle altre componenti psichiche, quali la razionalità e le emozioni, l’assenza di ogni valore morale, il forte senso della territorialità e della gerarchia.

Secondo certi autori, i Draconiani agirebbero infiltrandosi tra gli uomini, soprattutto fra i potenti della Terra, non riconoscibili in quanto in grado di mostrarsi con normalissime sembianze umane, grazie ad una sorta di condizionamento percettivo, per mezzo cioè di un controllo delle frequenze con cui la “realtà” appare. Infine essi sono forse in grado di dominare e di possedere la psiche di diversi uomini appartenenti ai vertici politici e militari, annullando di queste persone la volontà.

Bisogna precisare che esistono probabilmente diverse specie di Rettiliani, accomunati da un fenotipo simile ma differenti per patrimonio genetico, per temperamento e per grado di evoluzione. Alcuni si sono pure incrociati con i Grigi. Non tutti sono ostili.

Una specie a sé stante risulta essere l’homo saurus: così è stata denominata questa creatura anfibia dal professor Di Gennaro che l’ha a lungo e diligentemente studiata.

La narrazione di Geoffrey di Monmouth può essere un’altra tessera di questo mosaico che ritrae un’inquietante figura rettiliana? Dietro la leggenda si nasconde forse un cenno ad un’origine non terrestre di un re, identificabile con Artù, o un’allusione ad un contatto con una specie aliena draconiana che, in qualche modo, sotto il profilo genetico o psichico, influì sugli antichi abitanti della Britannia? Un’analisi di alcuni episodi del ciclo arturiano ci potrà dare forse qualche risposta.

Artù, il cui nome significa probabilmente “orso” da una radice ***arct, rintracciabile, ad esempio, nel greco arctòs, era figlio, secondo varie fonti medievali, di Uther Pendragon e di Igerna. Il mago Merlino aveva costruito per Uther un magnifico castello in cui aveva collocato la Tavola rotonda. In tale occasione, furono organizzati dei festeggiamenti: a Carduel convennero molti cavalieri con le loro auguste consorti, tra cui Igerna, moglie di Gorlois, signore di Tintagel in Cornovaglia. Quando Uther vide la donna, se ne invaghì perdutamente. Ulfin, uno dei consiglieri del sovrano, riferì ad Igerna della passione di Uther ed ella si confidò col marito che, sdegnato, si allontanò dalla corte, rinchiuse la moglie nella fortezza di Tintagel e radunò un esercito per combattere il re. Il giorno prima del combattimento, Merlino, con i suoi poteri magici, diede ad Uther le sembianze di Gorlois. Così trasformato, Uther si recò dalla donna che lo accolse per la notte, credendo si trattasse del marito. Il mattino successivo si combatté lo scontro e Gorlois fu ucciso. Qualche tempo dopo Uther impalmò Igerna ignara di attendere un figlio dal re. Appena nato, Artù, fu affidato da Merlino a Sir Ettore. Il futuro sovrano nacque nello stesso giorno in cui morì il padre.

La storia contiene alcuni particolari di grande interesse: la donna genera un figlio dotato di notevole carisma, il padre porta un nome, in un certo senso, eloquente, ossia Uther Pendragon. Qual è il significato di tale nome? Lo studioso di miti A.S. Mercatante lo traduce con “capo assoluto in guerra” : questa traduzione mi lascia perplesso. In “pen”, infatti, si potrebbe scorgere un’antichissima base mediterranea, poi inglobata negli idiomi indoeuropei, che vale “cima”, “monte” ed è collegata al dio ligure Pen, divinità dei monti e della fertilità, il cui nome è alla radice di numerose parole ritenute per lo più, ma forse a torto, di origine indoeuropea, quali “penna, pinna, pinnacolo…”. La base ben/pen, evidente in toponimi come Ben Nevis, con i suoi 1344 metri, la vetta più alta della Scozia, Monti Pennini, Alpi Pennine, Appennini…, a mio parere, può significare, ricordato che indicava il nume della fecondità, anche “figlio di”. Non so se si debba accostare alle forme semitiche “bin”, “ibn”, dalla stessa valenza, supponendo una qualche comunanza o affinità linguistica ed etnica tra genti medio-orientali e mediterranee d’Europa. In ogni caso, se si individua in “ben” un elemento del substrato pre-indoeuropeo, che filtrò negli idiomi celtici ed in altre lingue, si sarebbe tentati di tradurre “Pendragon” con… “figlio del drago”.

Non si deve dimenticare che Artù venne al mondo lo stesso giorno in cui defunse il padre: tale circostanza, che denota un profondo legame tra i due, evoca la metempsicosi ma anche interventi genetici e psichici.

Si potrebbe così riscrivere l’episodio narrato da Geoffrey di Monmouth: da un’astronave sbarcano degli alieni rettiliani proteiformi, in grado cioè di assumere un aspetto diverso da quello a loro proprio. Uno di loro, un draconiano, ingravida una terrestre, Igerna che, a sua insaputa, porta in grembo un figlio il cui genitore non è terrestre. Nasce Artù, un ibrido alieno-umano, l’eroe dalle stupefacenti doti destinato a trasmettere, attraverso il suo lignaggio, sia i geni rettiliani sia gli emblemi della sua ascendenza paterna. A proposito di quest’ultima analogia, si possono ricordare le testimonianze relative a bambini ed adolescenti di presunta origine spaziale che palesano potenzialità e conoscenze inusuali, superiori rispetto a quelle dei loro coetanei.

Da rilevare infine gli addentellati tra la cultura celtica e situazioni presumibilmente extraterrestri: la leggenda irlandese dei Tuatha de Danann narra di potenti dèi dai capelli biondi o rossi e con gli occhi azzurri, esperti in ogni genere di mestieri e detentori di conoscenze astronomiche e mediche. Essi, che provenivano dalle isole del nord del mondo, s’incrociarono con le popolazioni autoctone, dedite all’agricoltura ed alla pastorizia. Tra le dee dei Tuatha de Danann si annovera Eri dalla chioma d’oro. Tale situazione prelude alle ibridazioni aliene cui accennano molti contattisti e un autore come Strieber il quale suppone che i Grigi siano, per qualche motivo, interessati al patrimonio genetico umano.


Un prospetto può, infine, essere utile per ricapitolare:



Narrazione di Geoffrey di Monmouth Scenario di ibridazione aliena

Meteora scintillante

Astronave luminosa

Grazie ad un incantesimo del mago Merlino, Uther acquisisce le sembianze umane di Gorlois

L’alieno rettiliano versipellis è in grado di apparire con aspetto umano

Uther incinge la terrestre Igerna

L’extraterrestre fa concepire un feto umano-alieno ad una donna rapita

Nasce re Artù

Nasce la creatura con patrimonio genetico umano ed alieno

Artù è un individuo dalle doti straordinarie

Il figlio della rapita si rivela un individuo con sensibilità e capacità fuori del comune

Il sovrano inserisce un drago aureo sul suo stendardo


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