Il recente atto terroristico compiuto a Parigi (vedere link) riporta alla ribalta
uno dei gruppi islamici sunniti più estremisti in circolazione, lo Stato
Islamico dell’Iraq e del Levante, noto anche con la sigla “ISIS”. Molto
probabilmente tutto questo casino serve ai soliti noti (da cui forse
vengono finanziati) per fare scoppiare la terza guerra mondiale, uno dei
loro obbiettivi.
Di Salvatore Santoru
In una recente intervista rilasciata a Luke Rudkowski, ex giornalista BBC e fondatore di “We Are Change”,lo scrittore e ricercatore David Icke ha spiegato che il mondo si sta dirigendo sempre di più verso una nuova guerra su scala globale, e l'avanzata dei fondamentalisti dell' ISIS aggiunge un'ulteriore tassello a tutto ciò. Nell'intervista
Icke ripercorre l'ascesa del gruppo terrorista, avvenuta in pochissimo
tempo e ricorda che tale gruppo è "incredibilmente" ben armato e
finanziato, con oltre 2 miliardi di dollari, cosa che può risultare
alquanto "strana" per un gruppo del genere. Tale questione era stata già ricordata tra l'altro da un articolo
di Maurizio Molinari su "la Stampa" del 21 settembre scorso, in cui si
affermava anche che i maggiori finanziamenti a ISIS derivano dal Quatar e
dal Kuwait, paesi che "paradossalmente" risultano alleati degli Stati Uniti che combattono la stessa ISIS, paesi che hanno anche finanziato la cosiddetta "rivoluzione" in Siria, da dove i terroristi ISIS hanno iniziato la loro sanguinaria conquista del Medio Oriente. Continuando
nell'intervista Icke afferma che sia l'avanzata di ISIS che l'eventuale
prossima Terza Guerra Mondiale servano all'instaurazione del cosiddetto "Nuovo Ordine Mondiale", ovvero la costruzione di un'unico stato globale di stampo presumibilmente totalitario, a cui aspirano diverse lobby di potere internazionali. Secondo il ricercatore inglese sia la guerra in Libia
che l'attuale situazione siriana sono parte di tale piano, e la Terza
Guerra Mondiale coinvolgerà anche Cina e Russia, quest'ultima sempre di
più in pessimi rapporti con gli States e l'UE a causa della questione ucraina. Nell'intervista
Icke cita anche il probabile ruolo che avrà Israele in tale situazione,
ipotizzando che a causa di un'eventuale attacco ISIS allo stato
ebraico, ciò risulterebbe come casus belli della guerra vera e propria. Su
quest'ultimo punto, c'è anche da dire che la questione
israelo/palestinese risulta indubbiamente importante in tale "piano",
come avevo anche ricordato in un articolo di luglio. Interessante su tale tematica è la descrizione della Terza Guerra Mondiale fatta in un carteggio ( sulla cui autenticità non si è del tutto certi), nel 1871 da Albert Pike
, un generale e avvocato statunitense nonché gran maestro massone di
grado 33º del Rito Scozzese Antico ed Accettato, e Giuseppe Mazzini,
rivoluzionario italiano e membro della società segreta "Carboneria" :
"La
Terza Guerra Mondiale dovrà essere fomentata approfittando delle
divergenze suscitate dagli agenti degli Illuminati fra sionismo politico
e dirigenti del mondo islamico. La guerra dovrà essere orientata in
modo che Islam (mondo arabo e quello musulmano) e sionismo politico
(incluso lo Stato d'Israele) si distruggano a vicenda, mentre nello
stesso tempo le nazioni rimanenti, una volta di più divise e
contrapposte fra loro, saranno in tal frangente forzate a combattersi
fra loro fino al completo esaurimento fisico, mentale, spirituale ed
economico ".
L'occhio onniveggente degli schifosissimi Illuminati accanto ai terroristi ISIS. Un binomio più che probabile conoscendo i soggetti. Hanno già fatto scaturire le due guerre mondiali e potrebbero essere già pronti a dare fuoco alle polveri finanziando il neo califfato del terrore da dietro le quinte secondo il loro stile.
ISIS o Iside, un gioco degli illuminati?
ISIS, i terroristi islamici col nome di Satana. – Angelo Iervolino– 12 ottobre 2014 – Isidein lingua egizia Aset, è anche chiamata, Is, Isis, Iset. Il caso vuole che i nomi usati dai terroristi islamici IS, ISIS, finanziati e armati fino a pochi mesi fa da un illuminato, siano uguali ai nomi della dea dell’antico Egitto. Iside era la dea della maternità, della magia e della fertilità. Non solo ma ISIS è anche il nome di Diana. – Divinità femminile italica. Diana era venerata dalle donne come dea dei parti e della fecondità, parificata in ciò a un’altra dea molto onorata dai Romani, Giunone Lucina, così detta sia perché dea della luce, sia perché preposta a dare la luce ai nuovi nati, quindi Diana, veniva chiamata anche Diana Lucifera. La statua della libertàrappresenta Semiramide, ISIS, Astarte,Astaroth, Diana Lucifera, tanti nomi diversi…lo stesso culto.
E’ importante ricordare che Parigi é una citta fortemente massonica, dove viveva il culto alla dèa pagana ISIS, PARIS – PAR ISIS: si giurava infatti PER ISIDE: PAR ISIS. ISIS era il nome della Magna Mater Lucifera, la “Grande Madre” velata. L’iscrizione sulla presunta tomba di ISIS dice: “IO SONO tutto ciò che è, che è stato e che sarà, e nessun mortale m’ha ancora TOLTO IL VELO, che mi copre“. Frédéric-Auguste Bartholdi, conosciuto anche con lo pseudonimo Amilcar Hasenfratz (Colmar, 2 agosto 1834 – Parigi, 4 ottobre 1904) sculture francese autore della statua della libertàfu iniziato alla massoneria nel 1875, presso la loggia parigina “Alsace-Lorraine” e divenne maestro massone nel 1880. Ricordo a tutti che l’angelo della luce, ossia Lucifero è Satana. I
terroristi islamici che si stanno macchiando di delitti atroci,
decapitazioni, stragi di massa, quindi portano un nome che li lega sia
agli illuminati che a Satana, una coincidenza? In ogni caso vi propongo
la visione del video: “Katy Perry e gli illuminati – Dark Horse“, un analisi al dettaglio del video di Katy Perry nei panni della DeaIside. fonte: http://lenewsdiangeloiervolino.altervista.org/blog/3539
Una
guida per chi vuole capire una volta per tutte chi sono i miliziani che
stanno conquistando l'Iraq: c'entrano qualcosa con al Qaida? E
soprattutto, come hanno fatto?
Questo articolo è del giugno del 2014: sebbene la
ricostruzione della nascita e dell’ascesa dell’ISIS sia ancora attuale e
corretta, da allora a oggi molte cose sono cambiate nell’assetto dello
Stato Islamico e nei territori di Iraq e Siria che controlla.
Informazioni più aggiornate si possono trovare in questi altri articoli: – L’ISIS sta perdendo o sta vincendo? (settembre 2015) – Chi combatte chi in Siria, e perché (ottobre 2015) – A che punto è la guerra in Siria (settembre 2015)
***
Negli ultimi dieci giorni l’Iraq – paese a maggioranza sciita con una storia recente complicata e violenta – è stato conquistato
per circa un terzo del suo territorio da uno dei gruppi islamici
sunniti più estremisti in circolazione, lo Stato Islamico dell’Iraq e
del Levante, noto anche con la sigla “ISIS”.
Non è la prima volta che in Occidente si sente parlare di ISIS: da
più di due anni l’ISIS combatte nella guerra civile siriana contro il
presidente sciita Bashar al Assad, e da circa un anno ha cominciato
a combattere non solo le forze governative siriane ma anche i ribelli
più moderati, creando di fatto un secondo fronte di guerra. L’ISIS è
un’organizzazione molto particolare: definisce se stesso come “stato” e
non come “gruppo”. Usa metodi così violenti che anche al Qaida di
recente se ne è distanziata. Controlla tra Iraq e Siria un territorio
esteso approssimativamente come il Belgio, e lo amministra in autonomia,
ricavando dalle sue attività i soldi che gli servono per sopravvivere.
Teorizza una guerra totale e interna all’Islam, oltre che contro
l’Occidente, e vuole istituire un califfato non si sa bene dove: ma i
suoi capi sono molto ambiziosi.
Oggi l’ISIS è arrivato
a meno di 100 chilometri dalla capitale irachena Baghdad. La sua
avanzata, rapida e inaspettata, ha fatto emergere i moltissimi problemi
dello stato iracheno e ha intensificato le tensioni settarie tra sciiti e
sunniti, alimentate negli ultimi anni dal pessimo governo del primo
ministro sciita iracheno Nuri al-Maliki. Per capire l’ISIS – da dove
viene, che strategia ha, dove può arrivare – abbiamo messo in ordine
alcune cose essenziali da sapere. Che tornano utili per capire che
diavolo sta succedendo in Medioriente, e non solo in Iraq e in Siria.
Da dove viene l’ISIS? Che c’entra al Qaida?
Per capire la storia dell’ISIS serve anzitutto introdurre tre personaggi
molto noti tra chi si occupa di terrorismo e jihad: il primo,
conosciuto da tutto il mondo per gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001,
è Osama bin Laden, uomo di origine saudita che per lungo tempo è stato a
capo di al Qaida; il secondo è un medico egiziano, Ayman al-Zawahiri,
che ha preso il posto di bin Laden dopo la sua uccisione
in un raid americano ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio 2011; il
terzo è Abu Musab al-Zarqawi, un giordano che dagli anni Ottanta e poi
Novanta – cioè fin dai tempi della guerra che molti afghani combatterono
contro i sovietici che avevano occupato il territorio dell’Afghanistan –
era stato uno dei rivali di bin Laden all’interno del movimento dei mujaheddin, e poi anche di al Qaida.
Nel 2000 Zarqawi decise di fondare un suo proprio gruppo con
obiettivi diversi da quelli di al Qaida “tradizionale”, diciamo. Al
Qaida era nata sull’idea di sviluppare una specie di legione straniera
sunnita, che avrebbe dovuto difendere i territori abitati dai musulmani
dall’occupazione occidentale (bin Laden aveva invocato come punto di
partenza della sua guerra santa il dispiegamento di mezzo milione di
soldati statunitensi nella Prima Guerra del Golfo, nel 1990, intervenuti
per ricacciare in Iraq l’esercito di Saddam Hussein che aveva invaso il
Kuwait). Ma Zarqawi aveva altro in testa: voleva provocare una guerra
civile su larga scala e per farlo voleva sfruttare la complicata
situazione religiosa dell’Iraq, paese a maggioranza sciita ma con una
minoranza sunnita al potere da molti anni con Saddam Hussein.
L’ideologia e la strategia di Zarqawi
L’obiettivo di Zarqawi, che si è definito meglio anche con l’intervento
successivo di diversi ideologi jihadisti, era creare un califfato
islamico esclusivamente sunnita. Questo punto è molto importante, perché
definisce anche oggi la strategia dell’ISIS e ne determina le sue
alleanze in Iraq. In un libro pubblicato nel 2004, e scritto dallo
stratega jihadista Abu Bakr Naji, è spiegata piuttosto bene la strategia
di Zarqawi: portare avanti una campagna di sabotaggi continui e
costanti a siti turistici e centri economici di stati musulmani, per
creare una rete di “regioni della violenza” in cui le forze statali si
ritirassero sfinite dagli attacchi e in cui la popolazione locale si
sottomettesse alle forze islamiste occupanti.
Nella pratica le cose sono andate così. Nel 2003, solo cinque mesi
dopo l’invasione statunitense in Iraq, il gruppo di Zarqawi fece
esplodere un’autobomba in una moschea nella città irachena di Najaf
durante la preghiera del venerdì: rimasero uccisi 125 musulmani sciiti,
tra cui l’ayatollah Muhammad Bakr al-Hakim, che avrebbe potuto garantire
una leadership moderata al paese. Fu un attacco violentissimo. Negli
anni gli attentati andarono avanti e nel 2004 Zarqawi sancì la sua
vicinanza con al Qaida chiamando il suo gruppo Al Qaida in Iraq (AQI):
nonostante la differenza di vedute, l’affiliazione garantiva vantaggi a
entrambe le parti, per esempio permetteva a bin Laden di avere una forte
presenza in Iraq, paese allora occupato dalle forze americane. Nel
frattempo, nel 2006, Zarqawi era stato ucciso da una bomba americana, e
il suo posto era stato preso da Abu Omar al-Baghdadi (fu ucciso poi nel
2010, e il suo posto fu a sua volta preso da Abu Bakr al-Baghdadi).
L’ISIS di al-Baghdadi e il califfato islamico
Il gruppo di al-Baghdadi subì un notevole indebolimento nel 2007 a seguito del parziale successo
della strategia di controinsurrezione attuata nel 2007 in Iraq dal
generale statunitense Petraeus, che prevedeva una maggiore vicinanza e
solidarietà delle truppe con la popolazione e che contribuì a ridurre le
violenze settarie e il ruolo di al Qaida per almeno due anni. La
strategia di Petraeus si basava su una collaborazione con le tribù
sunnite locali, che mal sopportavano l’estremismo di al Qaida: questa
strategia oggi sembra inapplicabile, a causa delle politiche violente e
settarie che il primo ministro sciita Nuri al-Maliki ha attuato contro i
sunniti negli ultimi quattro anni, compromettendo per il momento
qualsiasi possibilità di collaborazione.
Nel 2011 il gruppo ricominciò a rafforzarsi,
riuscendo tra le altre cose a liberare un certo numero di prigionieri
detenuti dal governo iracheno. Nell’aprile del 2013 AQI cambiò il suo
nome in Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), dopo che la
guerra in Siria gli diede nuove possibilità di espansione anche in
territorio siriano. Il fatto di includere la regione del Levante nel
nome del gruppo (cioè l’area del Mediterraneo orientale: Siria,
Giordania, Palestina, Libano, Israele e Cipro) era l’indicazione di
un’espansione delle ambizioni dell’ISIS, ma non ne spiegava del tutto
gli obiettivi finali. Zack Beauchamp ha scritto una lunga e precisa
analisi dell’ISIS sul sito di Vox, e tra le altre cose ha
provato a capire in quali territori il gruppo ha intenzione di istituire
un califfato islamico: con l’aiuto di alcune mappe, Beauchamp ha mostrato
come gli obiettivi dell’ISIS siano confusi, mutabili nel tempo ma
estremamente ambiziosi (in una, per esempio, tra i territori su cui
l’ISIS ambisce a imporre il suo controllo c’è anche il Nordafrica).
Quanti sono, quanto sono cattivi e cosa vogliono, quelli dell’ISIS?
Charles Lister, uno dei più esperti analisti di jihadismo in Siria e Iraq, ha scritto su CNN
che l’ISIS in Iraq è formato da circa 8mila uomini, un numero di
combattenti insufficienti di per sé a prendere il controllo delle città
conquistate negli ultimi dieci giorni nel nord e nell’est dell’Iraq.
Infatti l’ISIS non ha fatto tutto da solo, ma si è alleato con le tribù
sunnite e con gruppi baathisti (cioè sostenitori del partito Baath, lo
stessa cui apparteneva Saddam Hussein) dell’Iraq, che hanno un solo
obiettivo in comune con il gruppo di al-Baghdadi: rimuovere dal potere
il primo ministro sciita iracheno Nuri al-Maliki. Come ha sintetizzato chiaramente il Washington Post, le città ora sotto il controllo dei ribelli sunniti sono 27.
Lister ha scritto che normalmente alleanze di questo genere – formate
da gruppi così diversi – non possono stare insieme a lungo, a meno che
non si mantenga un clima di contrapposizione totale. In Iraq questo
clima è alimentato, tra le altre cose, anche da una delle
caratteristiche distintive dell’offensiva dell’ISIS: la brutalità dei
suoi attacchi. La guerra dell’ISIS sembra una “guerra totale” – come
dimostra il
massacro di soldati sciiti a Tikrit, la città natale di Saddam Hussein.
Sul New Yorker Lawrence Wright ha descritto così il modus operandi del gruppo:
«Bin Laden e Zawahiri avevano sicuramente una certa
familiarità con l’uso della violenza contro i civili, ma quello che non
riuscirono a capire fu che per Zarqawi e la sua rete la brutalità –
particolarmente quando diretta verso altri musulmani – era il punto
centrale dell’azione. L’idea di questo movimento era l’istituzione di un
califfato che avrebbe portato alla purificazione del mondo musulmano»
La brutalità dell’ISIS era già stata notata da al Qaida nella guerra
in Siria: dalla fine del 2013 il capo di al Qaida, Zawahiri, cominciò a
chiedere all’ISIS di rimanere fuori dalla guerra (in Siria al Qaida era
già “rappresentata” dal gruppo estremista Jabhat al-Nusra). Al-Baghdadi
però si rifiutò e nel febbraio del 2014 Zawahiri “espulse” l’ISIS da al
Qaida («Fu la prima volta che un leader di un gruppo affiliato ad al
Qaida disubbidiva pubblicamente», ha detto un
esponente qaedista). In altre parole l’ISIS si era dimostrata troppo
violenta anche per al Qaida, soprattutto perché prendeva di mira non
solo le truppe di Assad ma anche altri gruppi dello schieramento dei
ribelli sunniti. Alla fine del 2013 l’ISIS, rafforzato dalle vittorie
militari in Siria, tornò in Iraq e conquistò le città irachene di
Falluja e Ramadi. E poi le altre, negli ultimi dieci giorni.
Come si mantiene l’ISIS? E che possibilità ha di vincere?
A differenza di altri gruppi islamisti che combattono in Siria, l’ISIS
non dipende per la sua sopravvivenza da aiuti di paesi stranieri, perché
nel territorio che controlla di fatto ha istituito un mini-stato che è
grande approssimativamente come il Belgio: ha organizzato una raccolta
di soldi che può essere paragonata al pagamento delle tasse; ha
cominciato a vendere l’elettricità
al governo siriano a cui aveva precedentemente conquistato le centrali
elettriche; e ha messo in piedi un sistema per esportare il petrolio
siriano conquistato durante le offensive militari. I soldi raccolti li
usa, tra le altre cose, per gli stipendi dei suoi miliziani, che sono
meglio pagati dei ribelli siriani moderati o dei militari
professionisti, sia iracheni che siriani: questo gli permette
di beneficiare di una migliore coesione interna rispetto a qualsiasi
suo nemico statale o non-statale che sia. Come mostra una mappa
risalente al 2006 trovata da Aaron Zelin, ricercatore al Washington
Institute for Near East Policy, non si può dire che l’ISIS sia privo di
una strategia economica precisa: già diversi anni fa aveva pensato a
come sfruttare i giacimenti petroliferi per sostenersi finanziariamente.
In pratica l’ISIS è riuscito finora a massimizzare ciò che gli ha
offerto la guerra in Siria. La stessa cosa potrebbe però non ripetersi
in Iraq, per almeno due motivi. Il primo è che l’ISIS potrebbe
in qualche maniera “fallire” economicamente, perché le sue entrate –
che derivano soprattutto da attività illegali a Mosul – potrebbero non
essere più sufficienti a sostenere la rapida espansione territoriale di
questi ultimi giorni. Una possibilità è che l’ISIS riuscisse a sfruttare
il petrolio iracheno come già fa in Siria nelle aree sotto il suo
controllo: in Iraq tuttavia le zone che potrebbe plausibilmente
conquistare non hanno giacimenti estensive di petrolio, e le
infrastrutture necessarie per il suo sfruttamento non sono sviluppate
come quelle siriane.
Il secondo è che l’aggravarsi della crisi irachena ha spinto
il governo iraniano a organizzare le proprie forze e intervenire.
L’Iran ha già mandato in Iraq circa 500 uomini delle forze Quds, il suo
più temibile corpo d’élite appartenente alla Guardia Rivoluzionarie
(forza militare istituita dopo la rivoluzione del 1979), specializzato
in missioni all’estero e già attivo da tempo in Iraq.
Le forze Quds sono probabilmente il corpo militare più efficiente
dell’intero Medioriente, molto diverse dal disorganizzato esercito
iracheno che è scappato da Mosul per non affrontare l’avanzata
dell’ISIS. Con l’intervento dell’Iran e di altre milizie sciite che
fanno riferimento a potenti leader religiosi sciiti locali, è difficile
pensare che l’ISIS possa avanzare ulteriormente verso Baghdad – che tra
l’altro è una città a grandissima maggioranza sciita – mentre è più
facile che provi a rafforzare il controllo sulle parti di territorio
iracheno a prevalenza sunnita che è già riuscito a conquistare (i rischi
di un massiccio intervento iraniano in Iraq ci sono eccome, comunque,
ne avevamo parlato qui).
NEL SEGUENTE LINK IL FAMOSO ESPERTO DEL NUOVO ORDINE MONDIALE-ILLUMINATI DAVIDE ICKE RILASCIA UNA INTERVISTA SULL'ISIS. NON INCORPORO IL VIDEO MA FORNISCO SOLO IL LINK. ATTENZIONE! SCENE FORTI! https://www.youtube.com/watch?v=GtRAW0b0EwQ
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