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lunedì 2 febbraio 2009

Gli attentati contro Hitler: una lunga scia di fallimenti











































Il nuovo film " OPERAZIONE VALCHIRIA " sul tentativo di assassinare Hitler il 20 Luglio 1944 da parte del colonnello von Stauffenberg interpretato da Tom Cruise ed altri congiurati (vedi trailer in fondo) fu solo l'ultimo di una serie di tentativi.

GLI ATTENTATI CONTRO HITLER:

UNA LUNGA SCIA DI FALLIMENTI
di ALESSANDRO FRIGERIO



In un suo libro lo storico Moorhouse racconta i vari tentativi fatti da privati cittadini, dai "servizi" inglesi e sovietici e dalla resistenza polacca e tedesca:


In fondo il 20 luglio 1944 fu l'epilogo. Ma un epilogo che non concluse nulla. L'attentato a Rastenburg in cui Hitler scampò miracolosamente alla bomba piazzata sotto il tavolo dal colonnello von Stauffenberg non fu altro che l'ultimo di una serie di attentati mal congegnati, mal eseguiti o sventatati prima della loro attuazione, messi in campo a partire dal 1938 da quell'evanescente pattuglia a cui è stato dato il nome di "resistenza" al nazionalsocialismo. Se fosse andato a buon fine, quello del 20 luglio forse non avrebbe cambiato il corso della storia, ma certo avrebbe risparmiato la vita ad alcuni milioni di uomini. Soprattutto al popolo tedesco, che nei nove mesi successivi subì più di quattro milioni di vittime per una guerra il cui esito era segnato da tempo.
La storia dei tentativi di uccidere Hitler è ricostruita in un originale volume di Roger Moorhouse, ricercatore alla London University e collaboratore di BBC History Channel, attraverso un'indagine giocata su un doppio piano: la ricostruzione dei singoli complotti e la contemporanea storia del nazismo. Inclusa naturalmente quella del suo "genio del male", Adof Hitler.
Pochi uomini furono così dominati dal sentimento del pericolo e dalla necessità di innalzare intorno alla propria persona un baluardo di protezione. Ma pochi furono altrettanto convinti della propria invulnerabilità. Fra gli uomini pubblici del suo tempo, Hitler fu uno dei primi che si servì per i suoi spostamenti di vetture blindate, di aerei gelosamente sorvegliati fino al momento della partenza, e di corpi speciali composti da uomini fedeli e pronti a sacrificarsi per la sua sicurezza (su tutte la Leibstandarte, la truppa d'élite delle SS che aveva il compito di sorvegliare la Cancelleria del Reich, i tre aeroporti di Berlino, i ministeri, Berchtesgaden e la casa di Himmler).

Ma Hitler preferiva le vetture scoperte e diede prova, in molte circostanze, di una irresponsabile audacia. Come spiega Moorhouse, il dittatore nazista «preferiva attribuire la propria sopravvivenza alle benevole attenzioni della Provvidenza. Anzi, era notoriamente facile a irritarsi con i suoi più stretti difensori. Aveva un'avversione quasi viscerale per i poliziotti, conseguenza forse dei suoi "anni di battaglia", e non sopportava di sentirsi osservato».
Questo soprattutto attorno alla seconda metà degli anni Trenta, quando le misure di sicurezza nei confronti della sua persona non erano ancora state messe a punto nei minimi dettagli. Per un sicario determinato, dotato di intraprendenza e tenacia, esistevano quindi molte possibilità di fare centro. Anche perché fino allo scoppio del conflitto Hitler non lesinò mai le apparizioni in pubblico, i discorsi alle sue platee, le marce legate alle liturgie del regime in cui folle di simpatizzanti avrebbero offerto la confusione ideale per un attentato.





Gli uomini delle SS adibiti alla scorta personale di Hitler







Uno dei primi fu ordito da un cittadino svizzero poco più che ventenne, Maurice Bavaud, fervente cattolico ed ex seminarista che in Hitler aveva riconosciuto il principale pericolo per l'umanità, l'incarnazione di Satana in pieno XX secolo. Il complotto fu messo a punto in totale autonomia e con una buona dose di dilettantismo. Il piano prevedeva che Bavaud, mischiatosi alla folla che assisteva alle celebrazioni della Giornata degli eroi a Monaco nel novembre del 1938, sparasse alcuni colpi di pistola su Hitler. Durante la sfilata, organizzata annualmente per commemorare il fallito putsch della birreria del 1923, il dittatore si sarebbe recato a piedi, tra due ali di folla, a deporre una corona al monumento alla vittime naziste.

Ma la folla assiepata e la selva di braccia tese impedì all'attentatore finanche di esplodere un colpo. In pratica fallì prima ancora di iniziare. Qualche giorno dopo Bavaud si spostò a Berchtestgaden, dove intanto la sua vittima si era trasferita, ma anche qui non riuscì a cogliere l'attimo. Fermato nel corso di un normale controllo della polizia, gli fu scoperta la pistola e il suoi piani sgangherati vennero alla luce. Incriminato per tentato omicidio, fu ghigliottinato nel 1941.
Più determinato, ma altrettanto solitario nel suo agire Georg Elser, un modesto operaio del Württenberg. Abbandonato dalla moglie, disoccupato, viveva quasi ai margini della società (per la sua mancanza di coscienza di classe lo si potrebbe definire, con terminologia marxista, un lumpenproletariat). Poco ideologizzato, nutriva però un profondo odio per Hitler, soprattutto dopo la prova di forza con la Cecoslovacchia del 1938. Fu così che nel 1939 decise di mettere in opera un tentativo di assassinio. Il suo intento era di far saltare la sala della birreria di Monaco dove Hitler l'8 novembre 1939 avrebbe tenuto un discorso. Il tentativo ha del rocambolesco e del metodico al tempo stesso. Per due mesi si intrufolò di notte nei locali chiusi della birreria per scavare una nicchia nel pilastro davanti al quale sarebbe stato allestito il palco. Quando la cavità fu ampia a sufficienza vi nascose un ordigno costruito artigianalmente e collegato a un timer. Ma la sera prevista Hitler tenne sì il suo discorso, ma con mezzora d'anticipo, per non incappare nella nebbia che stava calando sulla città e non compromettere il suo ritorno a Berlino.






Monaco 1938: durante questa parata fallì un attentato.








La bomba scoppiò puntualmente, causando la morte di otto persone e il ferimento di una settantina. Il dittatore in quel momento era già in viaggio verso la capitale. Dell'attentato il regime incolpò prima i servizi segreti britannici. Poi, dopo aver catturato Elser mentre tentava di varcare il confine con la Svizzera, dovette ricredersi. E con sommo rammarico: perché la sua figura apparteneva a quella dello stereotipo di lavoratore che forniva il nerbo al partito nazionalsocialista: «... a parte un breve flirt con il comunismo, era praticamente astemio, non praticava promiscuità sessuali, non se la faceva con gli ebrei e non era vicino alla Chiesa. In effetti, era esattamente il genere di solido, concreto lavoratore tedesco che ritenevano di aver conquistato, e che, anzi, era diventato la spina dorsale del Partito nazista. Forse semplicemente per questo motivo non riuscivano a credere che avesse operato da solo». L'attentato servì comunque al regime come scusa per liquidare dissidenti e presunti avversari. Hitler ne trasse invece una conferma della sua missione divina. Appena avuta la notizia esclamò: «Il fatto che io abbia lasciato la Bürgerbraükeller prima del solito è una conferma dell'intenzione della Provvidenza di farmi raggiungere il mio obiettivo». Il fallito attentato di Elser lo confermò nella sua megalomania. Il colpevole, rinchiuso a Dachau, fu ucciso dalle SS poche settimane prima che l'Armata Rossa alzasse la sua bandiera sulle rovine del Reichstag.

Ma i piani per l'eliminazione del dittatore non furono solo appannaggio di individui isolati e solitari, provenienti dalle file del popolo. Anche nomi eccellenti delle istituzioni valutarono in più occasioni l'opportunità di giungere a soluzioni estreme per liberare il Paese dalla deriva nazionalsocialista. Fu il caso di Wilhelm Canaris, responsabile del servizio informazioni militari del ministero della Difesa. Dopo un'iniziale appoggio alla politica anticomunista di Hitler e ai suoi piani di espansione, Canaris abbracciò la causa antinazista, denunciando, in ristrette e selezionate cerchie di conoscenti, l'immoralità delle SS e la totale subordinazione dell'esercito al partito. Assieme ad Hans Oster, anch'egli funzionario del servizio informazioni tedesco, ma tenendosi sempre un passo indietro, animò un movimento di resistenza antinazista che nel 1937 iniziò a studiare l'ipotesi di uccidere il dittatore. Il piano sarebbe dovuto scattare nel 1938, non appena il Fürher avesse ordinato la mobilitazione contro la Cecoslovacchia. I congiurati avevano progettato anche un colpo di Stato che avrebbe portato all'occupazione di tutti i ministeri chiave. Ma la politica di appeasement di Chamberlain e la consegna dei Sudeti ruppero le uova nel paniere. Il colpo poteva riuscire solo dimostrando al popolo tedesco che ciò era necessario per impedire a Hitler di scatenare la guerra. Ma venendo incontro alle richieste di Berlino, di fatto le potenze occidentali (e Mussolini) tolsero ai congiurati questo argomento. Le truppe non si sarebbero mai rivoltate contro il loro capo nel momento del massimo successo diplomatico.

Il piano fu recuperato nel 1939 quando le nubi di guerra tornarono ad addensarsi sulla Germania. Ma questa volta furono i fulminei successi in Polonia a fare da deterrente. «L'imbarazzante verità sulla questione è che nonostante tutta la sua indignazione morale, determinazione e ingegnosità, la resistenza tedesca si trovò effettivamente azzoppata dai successi diplomatici e militari di Hitler. Solo quando il vento cambiò, nel 1943, furono liberati da questa pesante afflizione». Ma intanto Canaris e Oster erano stati scoperti. Furono uccisi nella primavera del 1945, lo stesso giorno dell'operaio disoccupato che aveva fatto saltare la birreria di Monaco.
Se fino a quel momento l'opposizione a Hitler nei vertici delle istituzioni naziste non aveva dato risultati pratici, perdendosi in iniziative velleitarie o comunque agganciate al verificarsi di situazioni politiche che di fatto limitavano le possibilità di giungere a una svolta contro il dittatore, non meno effimere furono alcune iniziative attribuite al movimento clandestino polacco. La Polonia era stato il primo Paese a cadere, manu militari, sotto il giogo nazista. Ma, nonostante la feroce repressione praticata da tedeschi e russi nelle rispettiva aree di influenza, un movimento di resistenza era riuscito a coagularsi attorno ad alcuni esponenti del disciolto esercito. Moorhouse dà conto di un tentativo per uccidere Hitler negli ultimi giorni del settembre 1939, durante una breve visita nella capitale appena conquistata. Cinquecento chili di tritolo furono sistemati sotto la massicciata stradale, in un incrocio dove la Mercedes scoperta del dittatore sarebbe dovuta transitare.



Il colonnello  Claus Schenk von Stauffenberg


La parata, però, si svolse ancora una volta senza intoppi. Non è chiaro cosa non abbia funzionato: probabilmente si trattò di un difetto nell'innesco. Fatto sta che Hitler riuscì a salvarsi per l'ennesima volta. Per nulla sconfortato, il movimento di resistenza polacco, questa volta sostenuto dai servizi segreti inglesi, decise di cambiare strategia e di rivolgere le sue attenzioni al treno personale del dittatore, l'Amerika, a bordo del quale era solito spostarsi dal quartier generale di Rastenburg verso Berlino. La sera dell'8 giugno 1942 il convoglio doveva portare il suo illustre passeggero nella capitale per partecipare ai funerali di Reinhard Heydrich, il gauleiter di Boemia e Moravia ucciso pochi giorni prima dalla resistenza ceca. Il treno doveva esser fatto deragliare e un commando appostato lungo la massicciata avrebbe fatto fuoco sui sopravvissuti. Ma gli organizzatori del piano non valutarono la presenza di un treno civetta che precedeva il convoglio principale e la missione si infranse sull'obiettivo sbagliato.
Alla lunga teoria di attentatori visti fin'ora occorre poi aggiungere anche l'NKVD, la polizia segreta di Stalin. Anche il satrapo sovietico si lasciò lusingare per un certo periodo dall'idea di eliminare il suo emulo tedesco. Sembra che tra il 1938 e il 1939 un agente dell'NKVD avesse messo a punto un piano che prevedeva un attentato, ancora una volta a Monaco, all'interno di un'osteria dove Hitler (che evidentemente si muoveva in totale spregio di qualsiasi regola di sicurezza) era solito pranzare con i suoi seguaci.

Il piano fu però presentato nella sua fase operativa proprio nell'estate del 1939, quando Stalin stava muovendosi in direzione dell'alleanza con la Germania. E fu lasciato cadere.
Non migliore fortuna ebbe un l'idea di creare un commando che avrebbe dovuto attaccare il quartier generale del Fürher allestito nei primi mesi dell'operazione "Barbarossa" nella cittadina di Vinnitsa, nell'Ucraina occidentale. In questo caso le imponenti misure di sicurezza impedirono agli agenti sovietici infiltratisi dietro le linee di portare a termine la missione.
Lo stop finale a qualsiasi impresa fu poi dato dallo stesso Stalin nell'estate del 1943. Con la sconfitta di Stalingrado e la progressiva ritirata tedesca, la vittoria dell'Armata Rossa era solo questione di tempo. Per Stalin «un assassinio in questa circostanza - spiega Moorhouse - poteva rivelarsi addirittura controproducente, portando a una reviviscenza militare della Germania e, eventualmente, a una pace separata con gli Alleati occidentali, che avrebbe lasciato l'Urss a combattere da sola». Paradossalmente, da quel momento Stalin si accorse che il fanatismo di Hitler e la sua volontà di resistenza ad oltranza giocavano a favore dell'Unione Sovietica perché impedivano un accordo a occidente con americani e inglesi.
Inglesi che dal canto loro non erano rimasti inattivi. La storia del coinvolgimento dei servizi segreti di sua maestà (l'M16) in progetti di attentato contro Hitler si scontrò inizialmente con il pittoresco ideale ottocentesco della "spia gentiluomo", cioè dell'agente che doveva carpire segreti ma mai sporcarsi le mani di sangue.

Fu proprio per questo motivo che le reiterate proposte dell'addetto militare britannico a Berlino, Noel Mason-MacFarlane, di imbracciare un fucile di precisione e piazzare uno o più colpi all'indirizzo del dittatore durante una delle numerose parate che si svolgevano proprio sotto la sua abitazione, non trovarono mai sostegno a Londra. Il segretario agli Esteri lord Halifax reagì severamente, ricordando che «non siamo arrivati al punto di dover usare l'assassinio come sostituto della diplomazia». E il volenteroso quanto irruento Mason-MacFarlane fu garbatamente informato che un atto del genere sarebbe stato decisamente "poco sportivo"!
Un più articolato studio di fattibilità per assassinare Hitler (operazione Foxley) fu redatto, sempre dai servizi segreti britannici, attorno al 1944. Tra le ipotesi messe sul tavolo, ancora una volta il deragliamento del treno personale, l'avvelenamento, o il colpo di un tiratore scelto infiltrato nell'area del Berghof, la casa di vacanza nelle Alpi Bavaresi. Quest'ultima opzione rimase in piedi a lungo, perché si pensava di sfruttare la passione del dittatore per le passeggiate pomeridiane, che avvenivano solitamente senza un eccessivo dispiego di misure di sicurezza. Ma, come nel caso di Stalin, i successi alleati sul campo di battaglia resero meno urgente l'operazione. Tanto più che da alcuni ambienti si osservò come l'assassinio avrebbe trasformato Hitler in un mito. E forse dato vita a un'ulteriore leggenda: una Germania che avrebbe potuto vincere se lui fosse rimasto in vita.

In breve, anche l'operazione Foxley fu consegnata agli archivi. Tornando al fronte interno, cioè ai complotti orditi nell'entourage stesso del dittatore, meritano un cenno anche le operazioni organizzate dal colonnello Henning von Tresckow, che progettò di rapire Hitler nel corso di una sua visita in prima linea sul fronte Orientale, o l'ordigno sistemato sull'aereo presidenziale che non si innescò a causa della bassa temperatura. O, ancora, il fallito attentato dinamitardo nel corso di una visita all'armeria di Berlino nel 1944. Le indecisioni, i fallimenti, i contrasti tra gli attori di questo intrigo internazionale iniziato nella seconda metà degli anni Trenta avrebbero poi trovato la loro massima espressione nel ben noto attentato del 20 luglio 1944, del quale l'autore ripercorre le fasi cruciali nonché il drammatico epilogo con la cattura e la fucilazione dei principali congiurati.
Come sarebbe cambiata la storia se Stauffenberg avesse conseguito il suo obiettivo non è dato sapere. Benjamin Disraeli disse un giorno alla Camera dei Comuni che l'assassinio politico «non ha mai cambiato il mondo». Per Moorhouse, invece, la morte violenta del dittatore nazista avrebbe potuto cambiare qualcosa, ma non necessariamente nella direzione voluta dai complottisti. Una cosa è certa: la fede di Hitler nella propria invulnerabilità era ben riposta. L'unica pistola che riuscì ad ucciderlo fu quella impugnata dalla sua stessa mano.

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