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domenica 9 ottobre 2016

Film e mistero : La verità sta in cielo (il caso Emanuela Orlandi)

Interessante, sconcertante ma plausibile ipotesi nel secondo video dove esplicitamente si parla dei soliti poteri forti oltre ad accusare apertamente il Vaticano.

«La verità non sta in cielo ma in terra. Ma nessuno ha voluto ancora trovarla. Malgrado l’archiviazione, decisa dalla magistratura l’anno scorso, spero che il mio film contribuisca a riaprire il caso della scomparsa di Emanuela Orlandi». Con queste parole il regista Roberto Faenza ha presentato il suo nuovo film “La verità sta in cielo” (in sala il 6 ottobre) che a 33 anni di distanza ricostruisce uno degli episodi più inquietanti e irrisolti della storia italiana recente: la scomparsa, avvenuta il 22 giugno 1983, della quindicenne cittadina vaticana Emanuela Orlandi, uscita per andare a lezione di musica nel centro di Roma e mai più rientrata.
Le indagini si sono intrecciate fin dal primo momento con oscure ipotesi, depistaggi, servizi segreti, coinvolgimento dei poteri forti, della Banda della Magliana, del Vaticano, dei Lupi Grigi di Alì Agca. Del mistero di Emanuela Orlandi continua a occuparsi la trasmissione di RaiTre “Chi l’ha visto” ma l’archiviazione ha per il momento posto fine alla ricerca della verità.

Il regista. Oggi Faenza riprende in mano il “cold case” e con l’aiuto di un cast d’eccellenza (Greta Scarano, Riccardo Scamarcio, Maya Sansa, Shel Shapiro) rimette insieme i pezzi del puzzle. «Lo so, mi attaccheranno, e su internet mi hanno già minacciato - racconta il regista - è un rischio che, facendo un cinema di denuncia, ho messo nel conto. Il film nasce dalla mia sincera convinzione che il dolore della famiglia Orlandi debba avere una risposta. E’ una storia ancora aperta sulla quale il Vaticano sa molte cose, spero si decida a rivelarle». Il film è prpdotto da Elda Ferri per Jean Vigo e RaiCinema: «Ringrazio la Rai - aggiunge Faenza - che mi ha dato fiducia e ha avuto coraggio di trattare questo tema, tenendo fede alla sua missione di servizio pubblico».
Il fratello. Dello stesso parere Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, che da 33 anni si batte per trovare la verità. «Ho accettato di appoggiare Faenza perché ho riscontrato nel regista un impegno sincero nel cercare la verità - spiega -. Mi auguro che il film convinca il Vaticano a dire tutto quello che sa».


http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/cinema/faenza_riapre_caso_emanuela_orlandi-1995325.html

 
it.wikipedia.org

Sparizione di Emanuela Orlandi


Il manifesto affisso nel 1983 per le strade di Roma




La scomparsa di Emanuela Orlandi (nata a Roma[1] il 14 gennaio 1968) è un fatto di cronaca nera avvenuto a Roma il 22 giugno 1983; la vittima, una cittadina vaticana figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, sparì in circostanze misteriose all'età di 15 anni.
Quella che all'inizio poteva sembrare come un' "ordinaria" sparizione di un'adolescente, magari per un allontanamento volontario da casa, divenne presto uno dei casi più oscuri della storia italiana e della storia vaticana, che coinvolse lo Stato Vaticano, lo Stato Italiano, l'Istituto per le Opere di Religione (IOR), la Banda della Magliana, il Banco Ambrosiano e i servizi segreti di diversi Paesi; la reale natura dell'evento a tutt'oggi non è ancora stata definita.
Alla scomparsa di Emanuela fu collegata la quasi contemporanea sparizione di un'altra adolescente romana, Mirella Gregori, scomparsa il 7 maggio 1983 e mai più ritrovata.

La scomparsa

Emanuela Orlandi all'epoca della scomparsa aveva 15 anni e abitava in Vaticano assieme ai genitori e a quattro fratelli; lei era la penultima dei cinque. Nel giugno 1983 aveva appena terminato il secondo anno del liceo scientifico presso il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, venendo rimandata a settembre in latino e francese. Dotata di un considerevole talento musicale, Emanuela frequentava da anni una scuola di musica in piazza Sant'Apollinare a Roma, a poca distanza da Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica, dove seguiva corsi di pianoforte, solfeggio, flauto traverso e canto corale [2].
Il giorno della scomparsa, Emanuela si recò a lezione di musica attorno alle 4 del pomeriggio, per uscirne come di consueto attorno alle 7, dopodiché telefonò a casa, dove parlò con una delle sorelle riguardo a una proposta di lavoro che avrebbe ricevuto, retribuita con la somma di 350.000 lire (equivalenti, paragonando il potere d'acquisto, a circa 500 euro odierni) per un lavoro di poche ore come promotrice di prodotti cosmetici di una nota marca durante una sfilata di moda nell'atelier delle Sorelle Fontana, di lì a pochi giorni; tuttavia, la sorella la sconsigliò di dar retta a una proposta simile e le suggerì di tornare quanto prima a casa per parlarne con la madre.[2] Questo fu l'ultimo contatto che Emanuela ebbe con la famiglia. In seguito, fu accertato che la ditta di cosmetici in questione - che peraltro impiegava solo personale femminile - non aveva nulla a che vedere con l'offerta di lavoro asseritamente fatta alla giovane e risultò altresì che, nello stesso periodo, altre adolescenti dell'età di Emanuela erano state adescate da un uomo con il pretesto fasullo di pubblicizzare prodotti cosmetici in occasione di eventi quali sfilate di moda o altro [2].
Dopo la telefonata, Emanuela raggiunse due compagne di corso, tali Maria Grazia e Raffaella alla fermata dell'autobus in Corso Rinascimento. A detta delle ragazze, Emanuela alluse a una proposta di lavoro molto allettante ricevuta e, messa in guardia da loro, disse che avrebbe chiesto prima il permesso di partecipare ai propri genitori e che avrebbe comunque fatto attenzione per evitare brutte sorprese. Attorno alle 19:30, prima Maria Grazia e poi Raffaella salirono su due autobus diversi dirette a casa, mentre, a detta di Raffaella, Emanuela non salì a sua volta sul mezzo pubblico perché troppo affollato e disse che avrebbe atteso il prossimo. Da questo momento, della ragazza si perdono le tracce [3].
Secondo un'altra versione dopo la telefonata, Emanuela confidò a un'amica e compagna della scuola di musica, Raffaella, che sarebbe rimasta ad attendere l'uomo che le aveva fatto l'offerta per avvisarlo che avrebbe chiesto prima il permesso di partecipare ai propri genitori. Raffaella dichiarò che Emanuela l'avrebbe accompagnata alla fermata dell'autobus, lasciandola alle 19:30 per salire sul mezzo pubblico; l'amica riferì poi di aver visto dal finestrino che Emanuela parlava con una donna[2] dai capelli ricci[4] che non fu mai identificata anche se alcuni suggerirono che si trattasse con ogni probabilità di qualche altra allieva della scuola di musica.[5]

Le ricerche e le telefonate

Non essendo rincasata Emanuela, il padre Ercole cominciò insieme con un altro suo figlio delle ricerche presso la scuola di musica e nei paraggi di questa, contattando la preside dell'istituto che fornì ai familiari i recapiti telefonici di alcune compagne di corso di Emanuela e consigliò di attendere prima di allertare la polizia; nondimeno Ercole Orlandi si recò subito dopo al Commissariato "Trevi", in piazza del Collegio Romano, per denunciarne la scomparsa, ma il personale che lo aveva ricevuto lo invitò ad attendere prima di sporgere denuncia, suggerendo che la ragazza si fosse fermata a cena fuori con amici e avesse dimenticato di chiamare a casa[2]. La denuncia fu formalizzata la mattina seguente (23 giugno) presso l'Ispettorato Generale di P.S. "Vaticano" dalla sorella Natalina.
Il giorno ancora successivo (24 giugno) i quotidiani romani Il Tempo e Il Messaggero pubblicarono sia la notizia della scomparsa, sia una fotografia della ragazza con la richiesta di aiuto della famiglia e i recapiti telefonici[6]. Il 25 giugno, dopo una serie di telefonate non attendibili, arrivò agli Orlandi una chiamata da parte di un giovane che diceva di chiamarsi Pierluigi e di avere 16 anni, il quale raccontò che insieme con la sua fidanzata aveva incontrato a Campo dei Fiori due ragazze, una delle quali vendeva cosmetici, aveva con sé un flauto e diceva di chiamarsi Barbara. "Pierluigi" riferì anche che "Barbara", all'invito di suonare il flauto, si sarebbe rifiutata perché per farlo avrebbe dovuto usare gli occhiali da vista, che non le piacevano e aveva aggiunto che avrebbe preferito un modello della Ray Ban come quello che la presunta fidanzata di "Pierluigi" indossava.
Tre ore più tardi "Pierluigi" richiamò, aggiungendo che gli occhiali di "Barbara" erano "a goccia, per correggere l'astigmatismo" ma rifiutando un incontro con i famigliari di Emanuela o di far parlare con loro la propria ragazza, sostenendo che questa fosse distratta e poco affidabile. Queste chiamate apparvero attendibili ai familiari, poiché in effetti Emanuela era astigmatica, si vergognava di portare gli occhiali e suonava il flauto. Il 26 giugno "Pierluigi", durante un'altra chiamata cui rispose lo zio della giovane, aggiunse alcune informazioni su sé stesso: disse di avere 16 anni e di trovarsi in quella giornata con i genitori in un ristorante al mare. Comunicò anche che "Barbara" avrebbe suonato il flauto al matrimonio della sorella programmato per settembre, ma rifiutò ogni ulteriore collaborazione per rintracciare Emanuela e di incontrare di persona lo zio; anzi, quando questi gli chiese un incontro in Vaticano - presso l'abitazione dei genitori della ragazza - il sedicente "Pierluigi" rimase sorpreso chiedendo all'uomo se egli fosse un sacerdote. Gli inquirenti appurarono che tra gli amici di Emanuela vi era in effetti un ragazzo di nome Pierluigi, che però al momento della scomparsa si trovava in villeggiatura altrove.
Il 28 giugno fu la volta di un tale "Mario" sedicente titolare di un bar nel centro di Roma, nei pressi di Piazza dell'Orologio (assai vicina al Ponte Vittorio, lungo il tragitto che Emanuela percorreva abitualmente per recarsi alla scuola di musica) il quale, con un forte accento romano, disse di avere 35 anni. Anch'egli sosteneva di aver visto un uomo e due ragazze che vendevano cosmetici, una delle quali diceva di essere di Venezia e chiamarsi Barbarella. Significativo risulta, durante la telefonata di "Mario", un piccolo dettaglio: quando gli viene chiesta l'altezza della ragazza, egli esita, come se non lo sapesse e poi si limita a dichiarare "È bell'altina" mentre in realtà la Orlandi era alta appena un metro e sessanta. In sottofondo, si sente una seconda voce, che dice "No, de più"[7]. Sembra quindi che ci fosse un secondo uomo con lui, il quale aveva visto la ragazza, al contrario di "Mario", a meno che non si trattasse di un mitomane.
In una seconda telefonata[8], "Mario" spiegò che "Barbara" gli aveva confidato di essersi allontanata volontariamente da casa perché stufa della routine domestica, ma di essere intenzionata a fare rientro alla fine dell'estate per il matrimonio della sorella. La famiglia, considerando quest'ipotesi impossibile, perse a questo punto fiducia nelle telefonate di "Mario" e "Pierluigi". Anni dopo, fu suggerito che il sedicente "Mario" fosse un uomo vicino alla Banda della Magliana, ma tale ipotesi non fu mai provata in modo certo.

Prime indagini

I giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Emanuela, il fratello della ragazza e alcuni amici appurarono che una giovane descritta come molto simile a lei - anche se non è stato mai appurato se si trattasse effettivamente di Emanuela - era stata notata parlare con un uomo sia da un agente di polizia, sia da un vigile urbano in servizio davanti al Senato (al quale la ragazza avrebbe chiesto dove si trovasse la Sala Borromini). Il vigile, interrogato dalle forze dell'ordine una volta cominciate le indagini per la scomparsa, riferì che la ragazza era in compagnia di un uomo alto circa 1 m e 75, di età tra i trentacinque e i quarant'anni, snello, vestito elegantemente con il viso lungo, stempiato, che portava con sé una valigetta o una borsa e che sarebbe giunto alla guida di una BMW Touring verde [4][5][9]. Il poliziotto dichiarò di aver scorto nelle mani dell'uomo un involucro solido, forse un tascapane[4].
Un collaboratore del SISDE, Giulio Gangi, amico dei cugini della Orlandi[10], riuscì a rintracciare ben presto la BMW "verde tundra" (secondo la descrizione del poliziotto) dell'uomo che aveva parlato con Emanuela; in particolare scoprì che era stata riparata (pur essendo priva di documenti) da un meccanico del quartiere Vescovio[4]. A questo artigiano l'auto sarebbe stata portata da una donna bionda; il danno avrebbe riguardato la rottura del vetro del finestrino anteriore destro, ma questa rottura non sembrava causata da un'azione diretta - come solitamente, per incidente o furto - dall'esterno verso l'interno, bensì dall'interno verso l'esterno[4]. Il Gangi, che era al tempo impegnato in indagini su un giro di prostituzione verosimilmente connesso con materie di stretta competenza dell'Istituto di appartenenza, rintracciò in breve la donna in questione, che scoprì e contattò in un residence della Balduina; la donna rifiutò di collaborare e il Gangi al suo ritorno in ufficio scoprì che i suoi superiori erano stati informati del suo contatto, malgrado effettuato con nome e documenti di copertura e su un'auto con targa altrettanto dissimulata[4][11].
Il Gangi[12] aveva anche verificato presso la casa di moda di cui aveva parlato l'uomo della BMW, l'atelier delle sorelle Fontana, ove fu informato del fatto che più ragazze si erano ivi presentate illuse di poter partecipare agli eventi della Casa in quanto presentatrici di cosmetici, possibilità decisamente esclusa dalla direttrice[4]. Un anno dopo la scomparsa di Emanuela, un'adolescente romana fu adescata da un giovane sedicente promotore di cosmetici; l'uomo fu fermato ma risultò estraneo al caso Orlandi.

Ipotesi

Presunti collegamenti con l'attentato a Giovanni Paolo II

Domenica 3 luglio 1983 il Papa di allora, Giovanni Paolo II, durante l'Angelus, rivolse un appello[13] ai responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi, ufficializzando per la prima volta l'ipotesi del sequestro.[14]
Il 5 luglio giunse una chiamata alla sala stampa vaticana. All'altro capo del telefono un uomo, che parlava con uno spiccato accento anglosassone (e per questo subito ribattezzato dalla stampa "l'Amerikano"), affermò di tenere in ostaggio Emanuela Orlandi, sostenendo che molti altri elementi erano già stati forniti da altri componenti della sua organizzazione, Pierluigi e Mario, e richiese l'attivazione di una linea telefonica diretta con il Vaticano[14]. Chiamava in causa Mehmet Ali Ağca, l'uomo che aveva sparato al Papa in Piazza San Pietro un paio di anni prima, chiedendo un intervento del pontefice, Giovanni Paolo II affinché venisse liberato entro il 20 luglio.
Un'ora dopo, l'uomo chiamò a casa Orlandi, e fece ascoltare ai genitori un nastro con registrata la voce di ragazza con inflessione romana[15], forse di Emanuela, che ripete sei volte una frase, forse estrapolata da un dialogo più lungo: "Scuola: Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, dovrei fare il terzo liceo 'st'altr'anno... scientifico".
L'8 luglio 1983 un uomo con inflessione mediorientale telefonò a una compagna di conservatorio di Emanuela, dicendo che la ragazza era nelle loro mani, che avevano 20 giorni di tempo per fare lo scambio con Ali Ağca, e chiedendo una linea telefonica diretta con il Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli. La giovane dichiarò che lei ed Emanuela si erano scambiate i numeri di telefono lo stesso giorno della scomparsa, per tenersi in contatto in vista della preparazione di un concerto, aggiungendo che Emanuela aveva trascritto il suo numero su un foglio che aveva riposto nella tasca dei jeans che indossava [2].
Il 17 luglio venne fatto ritrovare un nastro, in cui si confermava la richiesta di scambio con Ağca, la richiesta di una linea telefonica diretta con il cardinale Casaroli, e si sentiva la voce di una ragazza che implorava aiuto, dicendo di sentirsi male; fu appurato che la voce era stata estrapolata da un film e non era quella di Emanuela. La linea fu installata il 18 luglio. Alcuni giorni più tardi, in un'altra telefonata, "l'Amerikano" chiese allo zio di Emanuela di rendere pubblico il messaggio contenuto sul nastro, e di informarsi presso il cardinale Agostino Casaroli, riguardo a un precedente colloquio.
In totale, le telefonate dell'"Amerikano" furono 16, tutte da cabine telefoniche. Nonostante le richieste di vario tipo, e le presunte prove, l'uomo (mai rintracciato) non aprì nessuna reale pista. Non furono mai prodotte prove che dimostrassero l'esistenza in vita di Emanuela né tantomeno che la ragazza fosse effettivamente ostaggio dei Lupi Grigi, l'organizzazione di cui Ağca faceva parte.
Nel comunicato n. 20 del 20 novembre 1984, i Lupi grigi dichiarano di custodire nelle loro mani tanto Emanuela quanto la sua coetanea romana, Mirella Gregori, scomparsa da Roma nel mese di maggio 1983. La "pista turca" dei Lupi grigi, tuttavia, è stata sconfessata dall'ex ufficiale della Stasi Günter Bohnsack, il quale ha dichiarato che i servizi segreti della Germania Est sfruttarono il caso di Emanuela Orlandi scrivendo finte lettere a Roma per consolidare la tesi che metteva in relazione Ağca con i Lupi Grigi, al fine di scagionare la Bulgaria dalle accuse durante le indagini per l'attentato a Papa Giovanni Paolo II[16]. L'estraneità dei Lupi grigi fu confermata da un pentito della Banda della Magliana Antonio Mancini, che nel 2007 ha dichiarato «Si diceva che la ragazza era roba nostra, l'aveva presa uno dei nostri»[17].
Nel 2010 Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ebbe un colloquio con Mehmet Ali Ağca, nel quale l'ex terrorista confermò l'ipotesi del rapimento per conto del Vaticano, già menzionata nella telefonata del 5 luglio 1983 e fece il nome di un cardinale, Giovanni Battista Re, ritenendolo persona informata sui fatti[18]. Un anno dopo, la registrazione del colloquio venne pubblicata dalla trasmissione Chi l'ha visto? che censurò il nome del cardinale. Pietro Orlandi, in quel momento in collegamento, comunicò di essere andato a parlare con lo stesso Re, il quale avrebbe smentito le parole dell'ex terrorista.[19]

Presunti collegamenti con lo scandalo IOR e il caso Calvi

Secondo alcuni giornali e pubblicazioni, l'identikit dell'Amerikano, stilato dall'allora vicecapo del SISDE Vincenzo Parisi in una nota rimasta riservata fino al 1995, corrisponderebbe a monsignor Paul Marcinkus, che all'epoca era presidente dello IOR, la "banca" vaticana: gli specialisti del SISDE, analizzando i messaggi e le telefonate pervenute alla famiglia, per un totale di 34 comunicazioni, ne ritennero affidabili e legati a chi aveva effettuato il sequestro 16, che riguardavano una persona con una conoscenza approfondita della lingua latina, migliore di quella italiana (ritenendo possibile che fosse stata appresa successivamente al latino), probabilmente di cultura anglosassone e con un elevato livello culturale e una conoscenza del mondo ecclesiastico e del Vaticano, oltre alla conoscenza approfondita di diverse zone di Roma (dove probabilmente aveva abitato).[20]

Presunti collegamenti con la Banda della Magliana

Nel luglio del 2005, alla redazione del programma Chi l'ha visto?, in onda su Rai 3, arrivò una telefonata anonima[21] in cui si diceva che per risolvere il caso di Emanuela Orlandi era necessario andare a vedere chi è sepolto nella basilica di Sant'Apollinare e controllare «del favore che Renatino fece al cardinal Poletti». Si scoprì così che "l'illustre" defunto altri non era che un capo della Banda della Magliana, Enrico De Pedis. L'inviata Raffaella Notariale era riuscita a ottenere le foto della tomba e i documenti originali relativi alla sepoltura del boss in territorio vaticano, voluta dal cardinale Ugo Poletti, allora presidente della Cei.
Il 20 febbraio 2006, un pentito della Banda, Antonio Mancini, sostenne, in un'intervista al giornalista Fiore De Rienzo di 'Chi l'ha visto?', di aver riconosciuto nella voce di Mario quella di un sicario al servizio del De Pedis, tale "Rufetto"[22]. Le indagini condotte dalla Procura della Repubblica tuttavia, non confermarono quanto dichiarato da Mancini [3]. Alla redazione del già citato programma di Rai Tre giunse poi una cartolina raffigurante una località meridionale che presentava il seguente testo: «Lasciate stare Renatino».
Il 30 giugno 2008, Chi l'ha visto? trasmise la versione integrale della telefonata anonima[23] del luglio 2005, lasciata inedita fino ad allora. Dopo le rivelazioni sulla tomba di De Pedis e del cardinal Poletti, la voce aggiungeva «E chiedete al barista di via Montebello, che pure la figlia stava con lei...con l'altra Emanuela». Il bar si rivelò appartenere alla famiglia di S. d. V, amica di Mirella Gregori, altra ragazza scomparsa a Roma il 7 maggio 1983 in circostanze misteriose e il cui rapimento venne collegato a quello Orlandi[24]. La redazione di Chi l'ha visto? è stata minacciata nel luglio 2008 anche da un'altra telefonata anonima[25] da parte di un certo "biondino".
Nel luglio 2011 la procura distrettuale di Roma ha arrestato alcuni componenti della famiglia romana De Tomasi, accusati di reati tra i quali usura e riciclaggio di denaro; secondo gli inquirenti, Giuseppe De Tomasi, noto Sergione, affiliato alla Banda della Magliana, è la stessa persona che nel 1983 telefonò alla famiglia Orlandi identificandosi con il nome "Mario", mentre il figlio, Carlo Alberto De Tomasi, è l'autore della telefonata a "Chi l'ha visto?" del luglio 2005.[26]

La teoria pedofila

Secondo una pista investigativa, Emanuela Orlandi sarebbe stata attirata e uccisa in un giro di festini a sfondo sessuale in cui sarebbero stati coinvolti esponenti del clero, un gendarme vaticano e personale diplomatico di un'ambasciata straniera presso la Santa Sede.[27]. Altre indagini rinviano a una pista che conduce a Boston, con coinvolgimento di preti pedofili.[28]
Secondo Padre Gabriele Amorth, la giovane Emanuela Orlandi sarebbe morta in un'orgia di pedofili tenutasi in Vaticano. La ragazza sarebbe stata drogata e coinvolta in un'orgia nella quale sarebbe rimasta uccisa. Questa è l'ipotesi che, in un'intervista rilasciata il 22 maggio 2012 a LaStampa.it[29], è stata avanzata dal religioso, definito dal quotidiano "capo mondiale degli esorcisti"; la notizia è pubblicata anche nel suo libro L'ultimo esorcista.
Nell'intervista, l'esorcista dichiara quanto segue: «Come dichiarato anche da monsignor Simeone Duca, archivista vaticano, venivano organizzati festini nei quali era coinvolto come "reclutatore di ragazze" anche un gendarme della Santa Sede. Ritengo che Emanuela sia finita vittima di quel giro. [..] Non ho mai creduto alla pista internazionale, ho motivo di credere che si sia trattato di un caso di sfruttamento sessuale con conseguente omicidio poco dopo la scomparsa e occultamento del cadavere. Nel giro era coinvolto anche personale diplomatico di un'ambasciata straniera presso la Santa Sede».
La stessa ipotesi, coinvolgendo anche Paul Marcinkus, è stata fatta dal collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, ex affiliato di Cosa Nostra, che ha riferito alla trasmissione Chi l'ha visto? nel 2014 una presunta confidenza di un boss mafioso, affermante che la Orlandi è morta durante un festino a base di droga e sesso, ed è sepolta in Vaticano con altre presunte giovani vittime.[30]
Una fonte anonima, già nel 2005, avrebbe fatto confidenze di tenore sostanzialmente analogo, ovvero che Emanuela sarebbe deceduta, forse accidentalmente, in seguito a un "incontro conviviale" tenutosi nei pressi del Gianicolo, situato al capolinea dell'autobus che la ragazza avrebbe dovuto prendere per tornare a casa, nella residenza di un alto prelato o comunque di una persona vicina agli ambienti vaticani e che il suo cadavere sarebbe stato probabilmente occultato nelle vicinanze[2][3].

Le testimonianze di Sabrina Minardi e la ripresa delle indagini

Nel 2006 la giornalista Raffaella Notariale raccolse un'intervista di Sabrina Minardi, ex-moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano, che tra la primavera del 1982 e il novembre del 1984 ebbe una relazione con Enrico De Pedis. Due anni e mezzo dopo, il 23 giugno del 2008, la stampa italiana riportò le dichiarazioni che Sabrina Minardi aveva reso agli organi giudiziari che avevano deciso di ascoltarla: Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa e il suo corpo, rinchiuso dentro un sacco, gettato in una betoniera a Torvaianica. In quella occasione, secondo la Minardi, De Pedis si sarebbe sbarazzato anche del cadavere di un bambino di 11 anni ucciso per vendetta, Domenico Nicitra, figlio di uno storico esponente della banda. Il piccolo Nicitra fu però ucciso il 21 giugno 1993, ben dieci anni dopo l'epoca alla quale la Minardi fa risalire l'episodio, e tre anni dopo la morte dello stesso De Pedis, avvenuta all'inizio del 1990. Stando a quanto riferito da Sabrina Minardi, il rapimento di Emanuela Orlandi sarebbe stato effettuato materialmente da Enrico De Pedis, su ordine del monsignor Paul Marcinkus «come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro».
Nel particolare, la Minardi ha raccontato di essere arrivata in auto (una Autobianchi A112 bianca) al bar del Gianicolo, dove De Pedis le aveva detto di incontrare una ragazza che avrebbe dovuto «accompagnare al benzinaio del Vaticano». All'appuntamento arrivarono una BMW scura, con alla guida "Sergio", l'autista di De Pedis e una Renault 5 rossa con a bordo una certa "Teresina" (la governante di Daniela Mobili, amica della Minardi) e una ragazzina confusa, riconosciuta dalla testimone come Emanuela Orlandi. "Sergio" l'avrebbe messa nella BMW alla cui guida andò la Minardi stessa. Rimasta sola in auto con la ragazza, la donna notò che questa «piangeva e rideva insieme» e «sembrava drogata». Arrivata al benzinaio, trovò ad aspettare in una Mercedes targata Città del Vaticano, un uomo «che sembrava un sacerdote» che la prese in consegna.[17]
La ragazza avrebbe quindi trascorso la sua prigionia a Roma, in un'abitazione di proprietà di Daniela Mobili in via Antonio Pignatelli 13 a Monteverde nuovo - Gianicolense, che aveva «un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all'Ospedale San Camillo» (la cui esistenza, oltre a un piccolo bagno e un lago sotterraneo, è stata accertata dagli inquirenti il 26 giugno 2008[24]). Di lei si sarebbe occupata la governante della signora Daniela Mobili, "Teresina"; secondo la Minardi, la Mobili, sposata con Vittorio Sciattella, era vicina a Danilo Abbruciati, altro esponente di spicco della Banda della Magliana, coinvolto nel caso Calvi e che dispose il restauro della palazzina in via Pignatelli.[7]
La Mobili ha negato di conoscere la Minardi o di avere avuto un ruolo nel rapimento, poiché in quegli anni si trovava, così come il marito, in prigione. Tuttavia la Minardi si è sempre riferita alla governante "Teresina", che effettivamente lavorava nell'appartamento in quel periodo, anche se non aveva la patente.[31][32] Successivamente, la Minardi ha citato un altro componente della Banda (corrispondente a un vecchio identikit[33]) che, rintracciato dalle forze dell'ordine, ha confessato che il rifugio in via Pignatelli era sì un nascondiglio, «ma non per i sequestrati, [bensì] per i ricercati. Era il rifugio di "Renatino" [De Pedis]», negando la connessione fra l'ex boss della Magliana e il rapimento Orlandi[34].
Affiora anche il personaggio di Giulio Andreotti, presso il quale la Minardi racconta di essere andata a cena due volte, insieme con il compagno De Pedis, a quel tempo già ricercato dalla polizia. La donna specifica però che Andreotti «non c'entra direttamente con Emanuela Orlandi, ma con monsignor Marcinkus sì».[17]
Le dichiarazioni della Minardi, benché siano state riconosciute dagli inquirenti come parzialmente incoerenti (anche a causa dell'uso di droga da parte della donna in passato) hanno acquistato maggior credibilità nell'agosto 2008, a seguito del ritrovamento della BMW che la stessa Minardi ha raccontato di aver utilizzato per il trasporto di Emanuela Orlandi e che risulta appartenuta prima a Flavio Carboni, imprenditore indagato e poi assolto nel processo sulla morte di Roberto Calvi, e successivamente a uno dei componenti della Banda della Magliana[35].
La pubblicazione dei verbali resi alla magistratura dalla Minardi ha suscitato le proteste del Vaticano, che, per bocca di padre Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa della Santa Sede, ha dichiarato che oltre alla «mancanza di umanità e rispetto per la famiglia Orlandi, che ne ravviva il dolore», ha poi definito come «infamanti le accuse rivolte a Mons. Marcinkus, morto da tempo e impossibilitato a difendersi».[36]
Il 19 novembre 2009 Sabrina Minardi, interrogata presso la Procura della Repubblica di Roma, dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pubblico ministero Simona Maisto, sembrerebbe aver riconosciuto l'identità di "Mario", ossia l'uomo che nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Emanuela Orlandi telefonò ripetutamente alla famiglia.[37][38][39][40] Il 21 novembre, su Rai News 24, andò in onda un'altra intervista a Sabrina Minardi, la quale raccontò che Emanuela Orlandi aveva trascorso i primi quindici giorni di prigionia a Torvaianica, nella casa al mare di proprietà dei genitori della Minardi stessa.[41]
Il 2 febbraio 2010 Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha incontrato Alì Aǧca, dal quale ha ricevuto rassicurazioni sul fatto che «Emanuela è viva e ritornerà presto a casa»[42]. Secondo l'ex Lupo grigio, la ragazza «ora vive reclusa in una mega villa in Francia o in Svizzera. Tornerà a casa».
Il 10 marzo 2010 è stata resa nota l'esistenza di un nuovo indagato, Sergio Virtù, indicato da Sabrina Minardi come l'autista di fiducia di Renatino, il quale avrebbe avuto un ruolo operativo nel sequestro della ragazza. L'uomo è indagato per i reati di omicidio volontario aggravato e sequestro di persona. Virtù è stato arrestato il giorno dell'interrogatorio per altri reati e trasferito nel carcere di Regina Coeli. All'ex autista di De Pedis infatti, erano state inflitte in passato due condanne perché coinvolto in reati di truffa. Davanti ai pm titolari dell'inchiesta, Virtù ha negato ogni addebito sulla vicenda, in particolare di avere mai conosciuto né avuto rapporti di amicizia con De Pedis. A carico dell'ex autista ci sono anche alcune dichiarazioni di un'altra donna, definita dagli inquirenti una sua ex convivente, la quale avrebbe raccontato di aver avuto un ruolo nel sequestro della Orlandi e di averne per questo anche ricevuto compenso.
Nel luglio 2010[43] è stato dato, dal Vicariato di Roma, il via libera all'ispezione della tomba di Enrico De Pedis nella basilica di Sant'Apollinare.
Il 17 giugno 2011, durante un dibattito sul libro di Pietro Orlandi "Mia sorella Emanuela" in diretta tv su RomaUno un uomo dichiaratosi ex-agente del SISMI afferma che «Emanuela è viva, si trova in un manicomio in Inghilterra ed è sempre stata sedata». Aggiunge che causa del rapimento fu la conoscenza da parte di Ercole Orlandi, padre di Emanuela, di attività di riciclaggio di denaro "sporco", collegando il rapimento a Calvi e al crack dell'Ambrosiano.[44]
Il 24 luglio 2011 Antonio Mancini, in un'intervista a La Stampa, dichiara che effettivamente la Orlandi fu rapita dalla Banda della Magliana per ottenere la restituzione del denaro investito nello IOR attraverso il Banco Ambrosiano, come ipotizzato dal giudice Rosario Priore. Mancini aggiunge di ritenere sottostimata la cifra di 20 miliardi e che fu Enrico De Pedis a far cessare gli attacchi contro il Vaticano, malgrado i soldi non fossero stati tutti restituiti, ottenendo in cambio, fra le altre cose, la possibilità di essere sepolto nella Basilica di Sant'Apollinare, come poi effettivamente avvenne.[45]
Il 14 maggio 2012 finalmente viene aperta la tomba di De Pedis, ma al suo interno è presente unicamente la salma del defunto, che, per espresso desiderio dei familiari, viene cremata. Allora si scava più approfonditamente, ma vengono trovate solo nicchie con resti di ossa risalenti al periodo napoleonico. Quattro giorni dopo, il 18 maggio, viene indagato Don Pietro Vergari per concorso in sequestro di persona.


Note

  1. ^ Secondo Pino Nicotri (Emanuela Orlandi. La verità. Dai lupi grigi alla banda della Magliana, Baldini Castoldi Dalai, 2008 - ISBN 88-6073-825-3), nacque nella clinica romana "Sacra Famiglia", in via dei Gracchi, quartiere Prati.
  2. ^ a b c d e f g Pino Nicotri, Emanuela Orlandi. La verità. Dai lupi grigi alla banda della Magliana, Baldini Castoldi Dalai, 2008 - ISBN 88-6073-825-3.
  3. ^ a b c Pino Nicotri, Triplo Inganno. Il Vaticano, gli apparati, i mass media ed il caso Orlandi, Kaos Edizioni, 2014 - ISBN 978-88-7953-268-6.
  4. ^ a b c d e f g Rita Di Giovacchino, Storie di alti prelati e gangster romani, Roma, Fazi Editore, 2008, ISBN 88-6411-840-3.
  5. ^ a b Corrado Augias, I segreti del Vaticano: storie, luoghi, personaggi di un potere millenario, Mondadori, 2010 - ISBN 88-04-60324-0
  6. ^ Eric Frattini, I corvi del Vaticano, Sperling & Kupfer, 2013 - ISBN 88-7339-793-X
  7. ^ a b Puntata di Chi l'ha visto? andata in onda il 7 luglio 2008
  8. ^ Video su sito Rai
  9. ^ L'intervista a Chi l'ha visto? del vigile urbano
  10. ^ Andrea Purgatori, "bombe sui treni per fare bella figura", in Corriere.it, 1º maggio 1994. (archiviato dall'url originale il ).
  11. ^ Il Messaggero, Massimo Martinelli, "La pista della Bmw portava alla Balduina", 24 giugno 2008 (come riportato sul sito di Maurizio Turco)
  12. ^ A questo nome si reperisce in effetti un account Twitter che ha per tag-line "Io so ciò che molti non sanno"
  13. ^ Audio su sito Rai
  14. ^ a b Emanuela Orlandi, su Chi l'ha visto?, RAI3. (archiviato dall'url originale il ). Unico precedente di un simile "appello ai rapitori" da parte di un Papa è il triplice "appello ai rapitori di Aldo Moro" lanciato da Papa Paolo VI nel 1978 (vedi Caso Moro, I comunicati e la trattativa)
  15. ^ Audio su sito Rai
  16. ^ Marco Ansaldo, Lo scambio Orlandi-Ali Agca fu un'invenzione di noi della Stasi, in Repubblica.it, 26 giugno 2008.
  17. ^ a b c Marino Bisso; Giovanni Gagliardi, Caso Orlandi, parla la superteste, "Rapita per ordine di Marcinkus", in Repubblica.it, 23 giugno 2008.
  18. ^ Ali Agca-Pietro Orlandi: il colloquio segreto "Questa storia nasce in Vaticano" - Repubblica.it
  19. ^ Video Rai.TV - Orlandi: la ricerca in Inghilterra
  20. ^ Estratti del libro EXTRA OMNES L'infinita scomparsa di Emanuela Orlandi di Gaja Cenciarelli, ZONA 2006, ISBN 88-89702-17-6 , relativi ai documenti desecretati delle inchieste del SISDE svolte al tempo
  21. ^ Audio su sito Rai
  22. ^ Il video dal sito di Chi l'ha visto?, aggiornamento del 23 giugno 2008
  23. ^ Audio su sito Rai
  24. ^ a b Emanuela Orlandi sul sito di Chi l'ha visto?, aggiornamento del 30 giugno 2008
  25. ^ Contenuto multimediale su sito Rai
  26. ^ Usura: Arresto famiglia De Tomasi, legata a caso Emanuela Orlandi, in AGI, 13 luglio 2011. (archiviato dall'url originale il ).
  27. ^ Padre Amorth: "Orlandi, fu un delitto a sfondo sessuale"- LASTAMPA.it
  28. ^ Emanuela Orlandi, Mirella Gregori e la pista dei preti pedofili a Boston - Corriere.it
  29. ^ sito LaStampa.it La Stampa - Padre Amorth: "Orlandi, fu un delitto a sfondo sessuale"
  30. ^ Emanuela Orlandi, un pentito di mafia: "Morta in un festino e sepolta in Vaticano", in Leggo, 18 giugno 2014. (archiviato dall'url originale il ).
  31. ^ Marino Bisso, "Non sono io la carceriera, quando è scomparsa ero in galera", in Repubblica.it, 26 giugno 2008.
  32. ^ L'ex donna del boss: «Io col rapimento non c'entro nulla», in il Giornale.it, 26 giugno 2008.
  33. ^ Marino Bisso, Caso Orlandi, un nuovo sospettato. Perquisizione a un ex della Magliana, in Repubblica.it, 29 giugno 2008.
  34. ^ Marino Bisso, "La Orlandi? In quel bunker si nascondeva Renatino", in Repubblica.it, 4 luglio 2008.
  35. ^ Fabrizio Caccia, «Sequestro Orlandi, ecco l'auto». Parcheggiata da 13 anni, in Corriere.it, 14 agosto 2008.
  36. ^ Vatican Diplomacy: «Il Vaticano: “Accuse infamanti su Marcinkus”»
  37. ^ Caso Orlandi, dopo 26 anni un testimone, in La Repubblica, 19 novembre 2009.
  38. ^ Dopo 26 anni la teste rivela: « Emanuela Orlandi è morta», in Corriere.it, 19 novembre 2009.
  39. ^ Caso Orlandi, il rapitore ha un nome: testimoni lo riconoscono dalle foto, in Repubblica.it, 21 novembre 2009.
  40. ^ Il mistero di Emanuela nelle stanze del Vaticano, in Repubblica.it, 20 novembre 2009.
  41. ^ Giuseppe Vittori, La teste: Marcinkus la incontrava a Torvajanica, in l'Unità, 22 novembre 2009.; Caso Orlandi. Intervista a Sabrina Minardi
  42. ^ Emanuela Orlandi:fratello incontra Agca - Top News - ANSA.it
  43. ^ Caso Orlandi, sì del Vicariato a ispezione tomba De Pedis - Tg24 - Sky.it
  44. ^ [1], Orlandi: telefonata a tv, Emanuela viva - Top News - ANSA.it
  45. ^ L'ex della Magliana: "Sì, siamo stati noi a rapire la Orlandi"- LASTAMPA.it


Voci correlate

Collegamenti esterni





 LE CRITICHE AL FILM
 
famigliacristiana.it

Nel film sul caso Orlandi scompare anche la verità

Francesco Anfossi f_anfossi



 
“La verità è raramente pura e non è mai semplice”. Il regista Roberto Faenza nel suo film La verità sta in cielo dedicato al rapimento di Emanuela Orlandi mette in “esergo” una frase di Oscar Wilde. La verità non è mai semplice. Ma in questo caso  non ci pare di scorgere una particolare complessità nel leggere in chiaroscuro il labirinto degli eventi di una delle pagine più oscure e dolorose della storia d’Italia. Della vicenda della ragazza quindicenne, figlia di un commesso della Famiglia Pontificia e cittadina vaticana, scomparsa il 22 giugno 1983 dopo essere uscita da un istituto di piazza Sant’Apollinare, a due passi dal Senato, dove andava a lezione di musica, sono dedicate poche scene. Raccontano l’angoscia in cui precipita la famiglia e gli ostacoli riscontrati fin dalle prime ricerche, anche perché Emanuela è cittadina vaticana. Faenza preferisce concentrarsi sulla trama delle indagini e sceglie la tesi precostituita. Delle decine di piste inseguite dagli investigatori in oltre 30 anni di inchieste, tutte concluse con un nulla di fatto, il regista intreccia quelle che finiscono direttamente dentro il Vaticano. Le più improbabili, ma anche le più adatte a costruire una trama inevitabilmente ideologica e anticlericale.


La prima ipotesi si basa sostanzialmente sulle dichiarazioni di un pentito della banda della Magliana (Antonio Mancini, "Nino l'Accattone", il "Ricotta" di Romanzo Criminale), giudicato inattendibile da più corti d'Assise, secondo il quale la povera Emanuela fu rapita per far pressione sulla restituzione di capitali mafiosi della Magliana affidati allo IOR di Marcinkus. Ipotesi che aveva formulato anche il giudice Rosario Priore, teorizzando che quei soldi (una ventina di miliardi di lire), prestati a usura dalla Magliana allo IOR, sarebbero stati impiegati per finanziare Solidarnosc. In pratica la Santa Sede per finanziare la buona causa del sindacato polacco di Walesa avrebbe chiesto soldi ai cravattari della Magliana. E dunque alla fine sarebbero stati i borgatari malavitosi di Romanzo Criminale - con le loro ingenti risorse, da "Er Ricotta" al "Libanese" -  i veri inconsapevoli artefici dell'Ostpolitik vaticana che fece crollare la cortina di ferro e i regimi comunisti dei Paesi dell'Est. Ipotesi - con tutto il rispetto -  che ci permettiamo di definire "ardita" e che i romani liquiderebbero con ben altre espressioni.

La seconda ipotesi attinge alle rivelazioni rilasciate alla giornalista di 
Chi l’ha visto Raffaella Notariale da Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano e poi donna di Renatino De Pedis, il potente boss dei “Testaccini” (una costola della Magliana), interpretato da Riccardo Scamarcio. Le rivelazioni della donna - definite inattendibili e incongruenti dalla Procura e dal gip di Roma -  sono finite in un libro, Segreto Criminale, a cura della giornalista, che nel film compare come una cocciuta eroina dedita alla missione scrupolosa della verità.  Piste che non hanno avuto seguito da parte della Procura di Roma, come tutte le altre del resto, compresa forse la più concreta, quella del finto rappresentante di una ditta di cosmetici che offre un lavoretto alla povera ragazza (che ne parla alla sorella in una telefonata prima di scomparire per sempre). L’uomo non è mai stato trovato. Dopo di che esplose il polverone celeberrimo dei Lupi Grigi di Alì Agca, in cui si infiltrò persino la Stasi. Ma potremmo andare avanti a lungo. 33 anni di indagini. La Cassazione lo scorso maggio ha recentemente messo la pietra tombale sulla vicenda Orlandi, archiviando l’inchiesta su richiesta della Procura, nonostante le indagini siano state “estremamente complesse  e approfondite”, come scrive il gip accogliendo le richieste del procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone.

 La verità sta in cielo si è preferito ricostruire le presunte responsabilità del Vaticano nel sequestro di una cittadina vaticana, pescando nel torbido e mescolando prelati, porpore, malavitosi, cortigiane, faccendieri, grandi affaristi, mafiosi e il solito repertorio di sacro e profano, angeli e demoni che ormai da decenni ruota intorno allo IOR. Un grande classico, potremmo dire, quasi un genere letterario.



Ad alimentare questo genere “noir” che ruota intorno al Torrione Niccolò V, dove ha sede lo IOR, sono state le vicende opache realmenteavvenute e comprovate, come la compartecipazione dell'Istituto per le Opere di Religione nel crack dell’Ambrosiano e il riciclaggio della maxitangente Enimont. Ma bisognerebbe sempre ricordarsi del motto che compare sotto la testata dell’Osservatore Romano, ripreso da Sciascia per un celebre giallo: “Unicuique suum”,  “A ciascuno il suo”. Insomma, accertare le responsabilità e i fatti, discernere il grano dal loglio, distinguere il vero dal verosimile. E lo IOR è il luogo per eccellenza dove si incontrano il vero e il verosimile. Quanto ai pentiti, è noto che spesso mescolano verità e menzogne, a volte dicono il vero, soprattutto su fatti di cui sono stati protagonisti o testimoni diretti, a volte millantano. il "sentito dire" è una loro specialità. Lo sanno tutti gli investigatori e i sostituti procuratori del mondo. Lo sanno certamente le Procure di Roma e di Palermo. In altri ambienti, come nel giornalismo e nel cinema, lo si sa un po’ meno. Si preferisce indulgere nel conformismo mainstream che descrive lo IOR a metà tra un paradiso fiscale e una centrale di riciclaggio, una “money laundry” permanente.   
Nel Padrino Parte Terza il prelato “Gilday”, ispirato a Marcinkus, garantisce alla “famiglia” Corleone il riciclaggio degli introiti criminali dei picciotti. Ma non c’è solo il cinema, naturalmente. Massimo Ciancimino,  figlio di Vito Ciancimino (che la procura di Caltanissetta si prepara a processare per calunnia contro l’ex capo della polizia de Gennaro) ha detto che il padre riceveva i mafiosi dentro il Torrione Niccolò V e che tra quelle mura, spesse nove metri,  è custodito il famigerato papello della trattativa Stato-mafia. Nel 1994 il pentito di mafia Vincenzo Calcara rivelò ai giudici di Marsala che dieci miliardi di lire di allora, provenienti da traffici illeciti legati a Cosa nostra furono riciclati con la complicità di prelati vaticani e di due deputati regionali siciliani. 

 Andò così, secondo Calcara. Nel 1981, “prima dell’attentato al Papa” da Castelvetrano furono spediti a Roma dieci miliardi, prelevati dall’abitazione del boss Francesco Messina e sistemati in un paio di valige poi caricate su due auto. “Quando arrivammo a Fiumicino”, sempre nella testimonianza del pentito, “ad attenderci c’erano tre macchine di grossa cilindrata con a bordo il cardinale Marcinkus ed un altro cardinale”. I soldi furono trasportati sulle automobili degli eccellenti prelati, che andarono via. Sgommando. Ecco qua una bella suggestione hollywoodiana per il prossimo film sullo IOR.


Dunque viene spontaneo indulgere al genere noir, di cui vi è un’ampia letteratura con pretese di saggistica, a cominciare dalla madre di tutti i Vatican noir, il libro In nome di Dio del giornalista David Yallop (sei milioni di copie vendute in tutto il mondo), il cui assunto paranoico è che papa Luciani è stato ucciso  da un complotto in stile Borgia che passa da Marcinkus, Calvi, il cardinale Villot e Licio Gelli. Pensare che basterebbe guardare le sue cartelle cliniche per capire come era messo il povero cuore malfermo di papa Luciani e gettare alle ortiche il best seller di Yallop, (dove non è citata esattamente nemmeno la data di nascita dello IOR). 

È stato Yallop per primo a dipingere l’americano Marcinkus come una sorta di gangster in clergyman educato alla scuola di Al Capone semplicemente perché era nato nel suo stesso quartiere, Cicero (interpretazione alla C'era una volta in America prontamente riportata nel film). Il che, se ci pensate, equivarrebbe dare del mafioso a qualunque palermitano nato a Brancaccio. Marcinkus è stato certamente un prelato facilone, avventato e incompetente “la persona sbagliata nel posto sbagliato”, come diceva di lui Cossiga (che di queste cose se ne intendeva per essere stato grande amico del prelato dello IOR Donato De Bonis). Il monsignore americano partecipava alle Bahamas al consiglio di amministrazione delle società che Calvi muoveva, senza probabilmente capire fino in fondo la “follia panamense” del banchiere milanese che aveva prosciugato il Banco Ambrosiano (lo si vede ben rappresentato nel film  I banchieri di Dio, un buon film di Giuseppe Ferrara, del 2002, per capire le vicende dell’Ambrosiano). 


Marcinkus deve aver commesso molti peccati di omissione, come diceva di lui l'allora segretario di Stato Agostino Casaroli (ritratto nel film come un depresso in preda agli psicofarmaci per via dell’ostilità del prelato americano) e come sostenevano porporati come Martini e Benelli (i quali hanno chiesto a Casaroli più volte la sua rimozione dall'istituto vaticano). Ma l'ex presidente dello IOR è morto in miseria come viceparroco in un paesino dell’Arizona, Sun City. Quando venne operato alle anche, chiese un prestito allo IOR di diecimila dollari, tramite il parroco. Quanto allo IOR, l'istituto non intascò una lira dei 1300 miliardi di dollari sottratti all’Ambrosiano, la responsabilità dei suoi vertici fu quella di fare da sponda al gioco di Calvi per far uscire dall'Italia un flusso enorme di denaro e immetterlo nella rete delle sue società estere, intascando le relative commissioni. Responsabilità non da poco, per un ente ecclesiastico come lo IOR, chiamato ad amministrare il patrimonio della Chiesa a fini religiosi e missionari. E infatti Casaroli volle egualmente transare una grossa somma (circa 250 milioni di dollari) con le banche creditrici a titolo morale (passò alla storia come "Accordo di Ginevra"). Per reperire la cifra l'istituto dovette liquidare gran parte del suo capitale azionario e ridurre il fondo pensioni dei dipendenti.

Il fatto è che la personalità rude e sprezzante di Marcinkus, detto "il gorilla" per via del fisico e del fatto che facesse da body guard ai Papi, sembrava fatta apposta per costruirci sopra il personaggio del mafioso, che è divenuto la sua
"damnatio memoriae". E Faenza, regista ma anche sceneggiatore di La verità sta in cielo, che ha pretese di docu-fictionnon sfugge alla regola. “Hi, De Pedis, ho ricevuto il bonifico”, gli fa dire rivolgendosi al boss testaccino  - che verrà ucciso in agguato della banda della Magliana -  mentre si svolge la solita festa di prelati, politici e malavitosi, nella cornice di un sontuoso palazzo romano.   

Anche l’episodio del funzionario dell’Fbi William Lynch, capo dell’Organised Crime and Racketeering section del Dipartimento di Giustizia Usa venuto in Vaticano con alcuni colleghi dell’Fbi per interrogarre Marcinkus circa il presunto riciclaggio di falsi titoli azionari per il valore di 14 milioni e mezzo di dollari di allora, è una vicenda raccontata da Yallop, il grande abbeveratoio del filone “Vaticano Incorporated”. Peccato che non sia mai stato provato nulla e si basa sulle dichiarazioni dei truffatori americani, a cominciare dal noto faccendiere Mario Foligni. Così come pesano dubbi di autenticità sulla lettera, citata nel film, che Calvi scrive a Giovanni Paolo II ricordandogli di aver sovvenzionato Solidarnosc (ma - detto per inciso -  dei finanziamenti a Solidarnosc non c’è mai stata traccia da nessuna parte nonostante sia ormai stata detta tante di quelle volte da faccendieri, giornalisti e pseudoscrittori che è ritenuta ormai una verità, a furia di ripeterla). La lettera, che nel film viene dattiloscritta da Calvi con il suo sinistro e minaccioso ticchettio, in realtà non sarebbe stata scritta dal banchiere milanese, ma fu un’iniziativa del suo entourage per cercare di dargli maldestramente una mano, con l’utilizzazione di fogli bianchi firmati in precedenza dal banchiere, che ormai era smarrito e aveva perso totalmente la bussola. Lo rivelò un giornalista del periodico filomissino Il Borghese, Francesco Caridi, al sito Dagospia: «Seppi da una fonte attendibilissima (immaginatevi quale ndr) che quella lettera era stata scritta a macchina occasionalmente in un ufficio nei pressi di Piazza Rondanini a Roma e quindi affidata al vescovo Pavel Hnilika (che aveva l'ufficio in via dell'Anima, nello stesso palazzo in cui l'aveva Carboni, vai a vedere alle volte le combinazioni ndr), forse tramite Marcinkus. Se si facesse una comparazione con alcune lettere autentiche di Calvi, si vedrebbero tra l’altro le differenze lessicali».  Una delle tante bufale che girano intorno allo IOR e al Vaticano, come l’ormai riconosciuta “sola” della lista dei 121 ecclesiastici massoni pubblicata dalla rivista OP di Mino Pecorelli, fabbricata in ambienti vicini ai servizi segreti, in cui compaiono il segretario di Stato Jean-Marie Villot, monsignor Pasquale Macchi, il cardinale Ugo Poletti, don Virgilio Levi e il povero Casaroli. Naturalmente c’è anche Marcinkus, matricola 43/649, nome in codice “Marpa”. Poteva mancare?

Disegnata la cornice del film, ecco entrare in scena la povera Sabrina Minardi, l’ex moglie del calciatore Bruno Giordano poi divenuta amante del boss De Pedis (che la faceva prostituire), ex tossicodipendente, già  ricoverata in un reparto psichiatrico per tentato suicidio. La "supertestimone" tra l'altro è stata giudicata inattendibile dal gip Giovanni Giorgianni, che ha recepito la richiesta di archiviazione dell'inchiesta da parte della Procura, non essendo stata in grado di fornire indicazioni precise sul luogo "dove era avvenuto il disfacimento del cadavere". Le dichiarazioni della Minardi raccolte dalla Notariale si intrecciano al grande ginepraio di "dritte" telefonate anonime, dichiarazioni clamorose  e quant'altro, offerte da mitomani vari, alcuni dei quali denunciati per autocalunnia, mai comprovate, come quelle che le ossa della ragazza giacessero nella stessa tomba di De Pedis, nella Chiesa di Sant’Apollinare (come è noto, non si trovò niente). La Minardi, oltre a sostenere che Emanuela fu uccisa e gettata in una torbiera, sostenne che Marcinkus e Roberto Calvi frequentavano un giro di prostitute e festini a base di sesso, droga (e forse rock and roll) cui partecipavano altri prelati e persino il segretario di Stato Agostino Casaroli, uno dei principi della Chiesa di tutti i tempi, l’uomo dell’Ostpolitik vaticana. Ma del coinvolgimento di Casaroli frequentatore - a detta delle fantasmagoriche rivelazioni della Minardi -  di orge e festini – anziché della sua comunità romana dove si rifugiava a tarda sera, dove assisteva, tra gli altri, i ragazzi del carcere minorile di Casal Del Marmo - il film di Faenza non parla, si ferma a Marcinkus e Calvi (che – sia detto sempre per inciso -  sarà stato anche un riciclatore e un bancarottiere, ma tutti conoscevano come un uomo riservato e fedele alla moglie, legatissimo alla sua famiglia). Comunque Faenza questa parte del libro della Minardi la omette. Forse perché a quel punto, leggendo le cose irriferibili su Casaroli lo spettatore avrebbe potuto cominciare a sospettare che il quadro offerto dal film fosse un tantino esagerato. 


Tra tanti demoni nel film compare e scompare qualche angelo, nei panni immaginari di un anonimo prelato o di un reverendo che gioca a rimpiattino. Questi prelati "buoni" sono una sorta di "deus ex machina" cinematografico per sostenere l’assunto del film, che  è quello di una Chiesa “pre” e una Chiesa “post” Bergoglio, una rigorosamente opaca, torbida e corrotta, l’altracarica di speranza, che poi è l’interpretazione conformista mainstream di  molti laici che la Chiesa non la conoscono e soprattutto non la capiscono. Nel dialogo immaginario (che il regista però assicura essersi verificato davvero, e concediamoglielo pure) tra un cardinale e un procuratore su un presunto dossier Orlandi custodito entro le Mura Leonine, il film suggerisce che la verità non stia in cielo ma in Vaticano. Il che sarebbe gravissimo, anzi mostruoso, perché presuppone il fatto che la Santa Sede sapeva la verità sulla povera Emanuela ma non l’avrebbe mai rivelata nemmeno in camera caritatis ai poveri genitori e ai fratelli, straziati da tanta pena. «Nel Paese delle menzogne per arrivare alla verità bisogna passare da molti bugiardi», dice il prelato immaginario "buono" durante il film. Ma siamo sicuri che i bugiardi, più che in Vaticano, non stiano tra le "fonti" cui ha attinto il regista-sceneggiatore? Quel che è a nostro avviso è certo, è che il film - nonostante i bugiardi -  dalla verità è molto distante. 

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