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domenica 28 febbraio 2010

Film e mistero - Licantropia : The Wolfman




La licantropia ha sempre accompagnato la storia dell'uomo già dai tempi dell'antico Egitto ed ultimamente,tramite l'avvento del cinema, ha aumentato la sua popolarità compreso l'ultimo film uscito sul genere, The Wolfman. I licantropi esistono veramente? Si ma solo in forme psichiatriche patologiche come la licantropia clinica, porfiria ecc., non certo con le trasformazioni animalesche a cui siamo abituati a credere (leggere in merito l'articolo seguente).


La varie malattie

La licantropia ha segnato un buon numero di leggende che narrano di esseri umani che durante le notti di luna piena avrebbero il potere di trasformarsi in lupi mannari, ovvero in uomini con le caratteristiche sembianze del lupo.

Di queste leggende la cinematografia si è nutrita ampiamente, realizzando dei film che riportano elementi aggiuntivi non presenti nelle tradizioni popolari, come il famoso pugnale d'argento, rappresentativo dell'unico modo per uccidere la creatura mostruosa. La leggendaria trasformazione dell'uomo in lupo è presente in molte culture, ma ne troviamo alcune il cui scenario fantastico è predominato dal mutamento dell'uomo in altri tipi di animali, come l'orso.

Il lupo resta comunque l'animale con il significato più affascinante e ambivalente: infatti se per alcuni versi è stato demonizzato, per altri risulta la creatura più vicina all'interiorità dell'essere umano tanto che i suoi discendenti hanno assunto il primato di "migliori amici dell'uomo". Per quanto concerne la realtà, la trasformazione in lupo mannaro può essere dovuta a malattie rare come l' ipertricosi oppure a malattie mentali. La prima è stata definita anche Werewolf Syndrome, alias la sindrome del lupo mannaro, di cui si stima che ne soffrano una cinquantina di persone in tutto il mondo. L' ipertricosi riguarda l'aumento dei peli nelle zone di normale distribuzione, da non confondere con l'irsutismo che rappresenta invece la comparsa di peli in zone tipicamente maschili come guance, spalle ecc... Ad esempio possiamo ricordare Pruthviraj Patil, il ragazzo indiano ritenuto una divinità proprio in virtù dell'ipertricosi che gli conferisce delle sembianze simili a quelle di un lupo, o di altri casi da Guinnes dei primati che abbiamo visto in tv.

licantropi_1Un'altra malattia che nei tempi ha ingenerato la convinzione di un legame col lupo è la porfiria, anch'essa molto rara ed ereditaria e per la precisione si tratta di un gruppo di malattie causate dall'alterazione delle attività di uno degli enzimi che sintetizzano il gruppo EME nel sangue, la cui caratteristica tipica è la fotosensibilità che porta chi ne è affetto a non esporsi alla luce del sole.

La licantropia clinica è invece una malattia mentale e più esattamente una psicopatia. In questo caso, chi ne è interessato tende a credere di essere un animale e ad assumerne quindi i tratti e i comportamenti caratteristici e nei casi più gravi a voler cibarsi di carne umana. Parlando di licantropia non si può non parlare di teriomorfismo, ovvero la "rappresentazione di divinità o altri esseri in forma parzialmente o totalmente animalesca. Il teriomorfismo in primo luogo denota l'extraumanità dell'essere rappresentato. A volte si tratta più precisamente di subumanità o mostruosità che significa pericolo nel quale l'uomo può precipitare. Ma altre volte si tratta di superumanità, ovvero della significazione di un potere sovraumano mediante qualità animalesche o meglio mediante le qualità che l'uomo attribuisce a certi animali, provvisti di doti a lui mancanti" (definizione tratta da Grande Enciclopedia De Agostini 1992).


Licantropo (dal greco λύκος (lýkos), "lupo" e ἄνθρωπος (ànthropos), "uomo"), detto anche uomo-lupo o lupo mannaro, è una delle creature mostruose della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura horror e successivamente del cinema horror.

Secondo la leggenda, il licantropo è un uomo condannato da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia horror sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si può uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Altre volte, invece, per "licantropo" non si intende il lupo mannaro: quest'ultimo infatti, si trasformerebbe contro la propria volontà, mentre il licantropo si potrebbe trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).

Storia e diffusione del mito

Origini

Il lupo è stato un animale soggetto ad un radicale processo di demonizzazione e successiva rivalutazione, dimostrando la sua intima connessione all'immaginario umano. Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto dei suoi discendenti l'animale domestico per eccellenza, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante il Medioevo.

Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell'uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell'animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e a uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore. L'agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.

Il mito dell'uomo che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indoariane le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti "lunari" e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione. In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli. In Kamchacta, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.

Le leggende riguardo gli uomini–lupo si moltiplicano in tutta Europa dall'Alto Medioevo in poi. Il corpus mitologico che ne scaturisce si manterrà sostanzialmente in costante espansione fino al XVIII secolo, con punte di massima crescita tra il XIV e il XVII secolo, in coincidenza delle più grandi cacce alle streghe dell'Inquisizione. Dal Settecento in poi si tenderà a sconfessare apertamente la possibilità che un essere umano si muti fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata solamente dalla psichiatria come affezione patologica che porta il malato già "lunatico" a credersi bestia a tutti gli effetti. Nel folclore locale manterrà, invece, solide radici.

Antico Egitto

Nell'antico Egitto, le prime raffigurazioni di un incrocio tra un canide e un uomo riguardano lo sciacallo. Anubi, infatti, compare tra le principali divinità venerate dagli antichi egizi, sia nell'Alto che nel Basso Egitto, fin dalle prime dinastie. Il dio viene propriamente raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno (2134 a.C.-1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate. Anubi è il protettore degli imbalsamatori; presiede al processo di conservazione del defunto e guida il suo akh (l'equivalente dell'anima cristiana) nel regno delle ombre. Lo conduce fino a Osiride, a cui era deputato il giudizio dell'anima. Anubi, inoltre, presiede insieme ad Horus alla pesatura del cuore del defunto, il risultato del quale è uno degli elementi per il giudizio stesso. In questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l'aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egiziana e probabile traccia di un tentativo di unificazione di vari pantheon separati, nati indipendentemente lungo il corso del Nilo.

Antica Grecia

Licaone punito da Giove, incisione di Hendrik Goltzius.

Nell'Antica Grecia compaiono altre raffigurazioni, rispettivamente, Zeus, Febo e Licaone.

Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso per appoggiare il malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.

Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto in lupo. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di Aristotele, da cui prende il nome l'ordine scolastico, detto, appunto, liceo). Il lupo diviene quindi animale della sapienza.[1]

Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone diviene un feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia. L'economia nella zona dell'Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l'atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il "lupo cattivo" stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare zoppi.

Antica Roma

La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell'atto di divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.

È difficile stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi. Di certo, la figura del lupo mannaro compare, ancora in epoca classica, nel I secolo nella narrativa della Roma antica. Ne parla Gaio Petronio Arbitro nel frammento LXII del Satyricon ed è la prima novella in cui appare questa figura:


« [...] arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d’improvviso un lupo. [...] appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco. [...] Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un’ora simile e aggiunse: "Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l’ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia". Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. [...] quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro. »


Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all'interno del corpo di un uomo, che poi si "rivoltava" assumendo le fattezze bestiali.

Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente derivato da un originario sacrificio umano). Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano se stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine "lupo mannaro" ha origine dal basso latino lupus homenarius, il cui significato etimologico è "lupo che si comporta come un uomo".

I romani colti sembrano piuttosto consapevoli che la licantropia è concepita soprattutto come affezione psichiatrica piuttosto che come reale condizione fisica, e in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno nella sua Ars medica dà una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo anche dei rimedi:


« Coloro i quali vengono colti dal morbo, chiamato lupino o canino, escono di notte nel mese di febbraio, imitano in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci d'aspetto, e hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell'accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l'infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d'altra parte di bagni d'acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriarca estratta dalle vipere e le altre da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate »


Nel latino medievale, infine, wargus designa il lupo (normale, in questo caso) ma deriva da una parola germanica che indica l'uomo che viene punito per un crimine. Nella società germanica questi veniva allontanato dalla civiltà e dalla protezione che essa offre, divenendo simile all'essere selvatico per eccellenza. "Criminale" è detto dunque wearg in Antico Inglese, warag in Antico Sassone, warc(h), in Antico Alto Tedesco, vargr in Norreno e wargus in Latino medievale (come prestito dal Germanico).

Nord Europa

Incisione tedesca in legno raffigurante un licantropo del 1722.

Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri consacrati a Odino, i berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi o lupi.

Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso e sputo d'uccello.

Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skoll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.

I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo.


« [...] quando nel più folto della foresta si imbatté a sua volta in un gruppo di undici uomini. Invece di chiamare lo zio [si erano accordati di non aggredire più di sette uomini contemporaneamente senza chiedere l'aiuto dell'altro], aspettò il momento più opportuno per coglierli di sorpresa, poi li assalì tutti insieme e li sbranò. Lo zio lo sorprende stanco a sonnecchiare presso i corpi degli uomini uccisi e si adira "Non rispetti i nostri accordi, Sinfjotli". »


Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.

Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico. La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus nella sua Historia de gentibus septentrionalis. Magnus racconta come, nella notte di Natale, si radunino in un certo luogo molti uomini-lupo:


« [...] li quali la notte medesima, con meravigliosa ferocità incrudeliscono, e contro la generazione umana, e contro gl'altri animali, che non son di feroce natura, che gl'abitatori di quelle regioni patiscono molto di più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Perciochè, come s'è trovato impugnato con meravigliosa ferocità a le case de gl'uomini, che stanno nelle selve, e sforzansi di romperle le porte, per poter consumare gl'uomini e le bestie che vi son dentro »

(traduzione dal latino di Remigio Fiorentino, Venezia, 1561)

Il carattere di questi licantropi si differenzia quindi notevolmente dai lupi genuini, che ne escono quasi riabilitati. I mostri descritti da Magnus hanno anche spiccata tendenza all'alcolismo; dopo essere entrati nelle cantine:


« quivi si bevono molte botti [di birra] e di quella e d'altre bevande, e poi lasciano le botti vote, l'una sopra l'altra, in mezzo alla cantina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi »


Ulfhendhnir è il nome dato in molte regioni settentrionali a questi esseri, e il suo significato è "dalla casacca di lupo".

Altre culture europee

In Italia il lupo mannaro assume nomi diversi da regione a regione: lupi minari in Calabria, lupenari in Irpinia, luponari in Sicilia, Luv Ravas nel cuneese, Loup Ravat nelle valli valdesi.

Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup garou. L'etimologia è incerta; secondo alcuni, garou contiene una radice che significa "uomo", mentre secondo altri deriva da loup dont il faut se garer, ovvero "lupo dal quale bisogna guardarsi". Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert.

In Germania e in Gran Bretagna ci sono i werwulf e i werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dalla stessa radice del latino vir (uomo) e wulf o wolf (lupo).

Nell'Europa dell'est compare una figura ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l'origine del nome rimane sempre la stessa.

È detto volkalak in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la forma forse più nota), in Romania.

Oriente e Americhe

In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse discendente del "grande lupo grigio".

Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di questi animali per andare a caccia. Un simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore) e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben allenate a distinguerne il manto. Inoltre poco dopo la scoperta delle Americhe i coloni sostenevano che la licantropia fosse una maledizione dei "pelle rossa" dovuta all'"incrocio" di sangue tra coloni e indiani dovuti a matrimoni misti o ad altre motivazioni come gli stupri compiuti meschinamente da coloni nei confronti degli indiani. Ed altri sostenevano fosse la punizione di Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Mentre i nativi americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o maledizione portata dai coloni.

Epidemie medievali

Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaforme, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l'accusa di mannarismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva, che è ben testimoniata dagli studi di Jacques Collin de Plancy. De Plancy, studioso francese dell'Ottocento che si dedicò animatamente a studi di spirito volterriano per spazzare la superstizione residua nella gente, raccoglie molte testimonianze dei secoli precedenti nel suo Dictionnaire Infernal, dando un quadro abbastanza preciso di quella che era la situazione in Europa nei secoli citati:


« L'imperatore Sigismondo fece discutere in sua presenza, da un conclave di sapienti, la questione dei lupi mannari, e fu unanimemente stabilito che la mostruosa metamorfosi era un fatto accertato e costante. Un malfattore che volesse compiere qualche soperchieria, non aveva che da spacciarsi per Lupo Mannaro per terrorizzare e mettere in fuga chiunque. A tale scopo non aveva bisogno di trasformarsi davanti a tutti in lupo: bastava la fama. Molti delinquenti vennero arrestati come lupi mannari, pur rimanendo sempre con sembianze umane. Pencer, nella seconda metà del Cinquecento, riferisce che in Livonia, sul finire del mese di dicembre, ogni anno si trova qualche sinistro personaggio che intima agli stregoni di trovarsi in un certo luogo: e, se loro si rifiutano, il Diavolo stesso ve li conduce, distribuendo nerbate così bene assestate da lasciare immancabilmente il segno. Il loro capo va avanti per primo, e migliaia di Stregoni vanno dietro di lui; infine attraversano un fiume, varcato il quale si cambiano in lupi e si gettano su uomini e greggi, menando strage »


Plancy riferisce anche un episodio italiano, la cui fonte prima dice essere un certo Fincel:


« Un giorno venne preso al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova; gli si tagliarono le zampe, e il mostro riprese tosto forma d’uomo, ma con piedi e mani mozzati »


Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.

Caratteristiche

Morfologia licantropica

Per lo più, tutte le storie e le leggende sono concordi nell'affermare l'origine diabolica del mostro, che viene spesso associato con streghe ed eretici. A parte questo punto in comune, è impossibile tracciare una morfologia univoca del licantropo. Normalmente lo si trova rappresentato in forma di lupo (e non una creatura ibrida tra l'uomo e la bestia, come nei film horror), che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per l'intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari. Taluni affermano anche che il licantropo è privo di coda, perché le creazioni del diavolo, per quanto ben riuscite, sono necessariamente imperfette. Altri ritengono che sia necessariamente di colore nero. Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente. Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni, sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto del licantropo per la carne fresca.

Il demonologo francese Pierre Delancre (Bordeaux 1565 (?) – Parigi 1630), lo descrive così:


« Essi sgozzano li cani e li bambini e li divoran con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci [lupi]; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate »


Diventa imperativo, per la possibile vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene. Il compito non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino, i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani. Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda. È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide persone la notte e le divora di nascosto.

Personaggio a metà tra lo stregone e l'uomo–lupo è il francese mener de loups o "pastore di lupi". È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini. La capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo. Alla testa dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può dare l'assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.

Nel Medioevo si completa l'opera di demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo "doppio" innaturale e visto come servo delle streghe (il mannaro è una loro possibile incarnazione). I lupi sono vicini a Satana, e devono cominciare a guardarsi con molta attenzione dagli uomini, che talvolta arriveranno a fare dei veri e propri roghi di queste bestie, a fianco di sventurati accusati di stregonerie o eresia.

Diventare licantropo

Molti sono i modi per diventare licantropi. L'unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell'infezione muta forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo.

Per tutto il Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Ciò, ovviamente, implica che la trasformazione sia volontaria. Per compierla ci si deve spogliare della propria pelle e indossare una pelle di lupo. Se si è restii ad autoscorticarsi, può bastare indossare una cintura confezionata con la pelle di questo animale. Caratteristica fondamentale perché la pelle possa funzionare è che la testa sia sostanzialmente intatta, se possibile con ancora il cranio inserito a supporto dei denti. La pelle, ovviamente, non può essere quella di un comune lupo, ma deve essere una sorta di veste maledetta. Questa deve essere consegnata dal diavolo, che volentieri la fornisce a persone esecrabili, oppure, secondo consolidata tradizione, in cambio dell'anima. Un'alternativa all'uso della pelle è il ricorso a unguenti o filtri magici. Uno dei componenti fondamentali è quasi sempre il grasso di lupo. A volte questo viene mescolato con sostanze tossiche (come la belladonna) o dagli effetti psicotropi. Una delle più note ricette di filtro magico prevede di mescolare cicuta, semi di papavero, oppio, zafferano, assa fetida, solano, prezzemolo e giusquiamo. Parte andava spalmata sul corpo e parte bevuta. Non è quindi improbabile che una persona, se assume un simile intruglio e sopravvive, si comporti come un animale invasato, arrivando ad essere pericoloso. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere "acqua licantropica", cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo–lupo.

La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento. Questo significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo dai lupi mannari. Il plenilunio assume importanza, anche se non sempre risulta fondamentale, nelle trasformazioni involontarie. Il primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari è stato presumibilmente Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale. L'idea dell'influsso della luna piena viene ripreso e ritenuto fondamentale dalla maggior parte delle leggende. Vi sono tradizioni (ad esempio in Calabria) secondo cui il licantropo si può trasformare anche sotto l'influsso della luna nuova. L'involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una strega, come pure da un santo o da persona venerabile può portare alla licantropia. San Patrizio, secondo la tradizione, si dedicò a maledire e trasformare in lupi intere popolazioni, così come San Natale. I motivi per cui si può venire maledetti sono molteplici: eresia, empietà, antropofagia (qui ritorna il mito di Licaone), al limite anche solo essere nati in certi periodi dell'anno. Chi nasce la notte di Natale a cavallo della mezzanotte o il giorno dell'Epifania, per esempio, ha buone probabilità di divenire lupo mannaro. Si tratterebbe di una sorta di maledizione divina per punire un gesto quasi blasfemo. Per salvare il figlio dalla crudele sorte, il padre, utilizzando un ferro rovente, deve incidere una croce sotto la pianta di un piede del bambino per i tre Natali successivi. La maledizione può essere dovuta anche a incidenti o piante velenose. Vi è una tradizione abruzzese secondo cui dormire sotto la luna piena (in alcune zone deve essere anche un mercoledì notte) porta al licantropismo. Per le piante, la credenza più diffusa proviene dall'est europeo e avverte di stare lontani dai fiori neri (secondo la versione moldava, questi crescerebbero di preferenza vicino a cimiteri). Il nero è un colore che le infiorescenze in natura non assumono, tranne in casi particolarissimi (non attira gli insetti o altri animali impollinatori), quindi indica soprannaturalità e probabile matrice diabolica.

Difendersi dal licantropo

Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l'argento. Questo metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (anche i vampiri, nonostante la tradizione cinematografica prediliga il paletto di frassino). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall'epoca greca erano associate a questo metallo. Secondo alcune versioni del mito, l'arma d’argento deve anche essere benedetta, o addirittura fusa da un crocifisso d'argento. Le più complesse sono una versione piemontese e una francese della Saintogne; secondo quella piemontese, la fusione deve provenire non solo da un crocifisso d'argento benedetto, ma deve essere realizzata la notte di Natale. La versione della Saintogne non prevede espressamente l'argento, ma le pallottole devono essere benedette in particolari ore della notte in una cappella dedicata a Sant'Uberto (protettore dei cacciatori). Un'alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa. Opzionalmente, dopo aver ucciso l'uomo-lupo, si può procedere al taglio della testa prima del seppellimento. Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si tramuti in vampiro (tradizione slava).

La licantropia si fronteggia un po' meglio sul fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo. Ad esempio, l'uomo–lupo siciliano non è in grado di salire le scale che, di conseguenza, costituiscono un sicuro riparo e per curare il malcapitato da tale stato di affezione bisogna colpirgli la testa in modo da far zampillare fuori un quantitativo sufficiente di "sagnu malatu" (sangue malato). Anche lo zolfo messo sulla soglia di casa costituisce un valido deterrente. Il lupo mannaro abruzzese potrà arrestare la trasformazione se gli si lascia a disposizione un recipiente con acqua pura, nel quale si possa bagnare. In alternativa, si può indurre il licantropo a riassumere la forma umana spillandogli tre gocce di sangue dalla fronte o facendolo ferire da un suo familiare che brandisce un forcone, oppure ancora colpendolo con una chiave priva di buchi. Buona efficacia ha anche l'aconito (in inglese prende il nome di wolfsbain, "bandisci-lupi") che risulta particolarmente sgradito.

La soluzione definitiva e radicale rimane il fuoco, da usarsi, preferibilmente, sul licantropo ancora in forma umana.







venerdì 26 febbraio 2010

Arte e mistero : Leonardo da Vinci e LA GIOCONDA

“Il Velo della Gioconda”, prosegue una strada che avevo già tracciato con “Beatrice e Monna Lisa” del 2005 e “Monna Lisa: il volto nascosto di Leonardo” del 2007, ma allarga la ricerca a tutta l’opera di Leonardo, mettendone in luce aspetti finora poco conosciuti. Vi dimostro infatti che, oltre al Leonardo che ci viene ufficialmente presentato, razionale, scettico, alieno da ogni forma di magia o scienza occulta, ne esiste anche un secondo che non esita a investigare il mondo dell’arcano, dalla sapienza ermetica fino a quelle alchemica e cabbalistica, in una ricerca ossessiva dei misteri profondi e occulti della vita e della natura. La “Gioconda” rappresenta il momento culminante di questo Leonardo segreto.




Quello di Leonardo da Vinci è un fenomeno mediatico per molti versi incomprensibile. Lo circonda un’aura di genio e di mistero tale che ogni novità che lo riguarda, vera o presunta, ha un’immediata risonanza sui media di tutto il mondo.

Così è successo anche al mio ultimo libro, “Il Velo della Gioconda. Leonardo segreto” (Polistampa, 2009): i media hanno diffuso dovunque la notizia che secondo uno studioso fiorentino (che sarei io) Leonardo, oltre alla Gioconda del Louvre, ne avrebbe dipinto anche una seconda versione, quest’ultima nuda. L’accoppiata mediatica Leonardo più femmina nuda è stata di grande impatto emotivo. Ma se fosse così avrei scoperto l’acqua calda, perché tutti gli studiosi di Leonardo ammettono che le numerose immagini di Gioconde Nude, che circolano fin dal XVI secolo, implicano l’esistenza di un prototipo leonardesco. Se non avessimo la Gioconda del Louvre, dovremmo ipotizzarne l’esistenza per le copie che ne furono fatte, già al tempo di Leonardo, da allievi o discepoli.
La novità del mio libro non sta in una presunta scoperta, ma nella proposta del probabile senso allegorico della Gioconda Nuda e del suo celebre alter ego, la Gioconda del Louvre.

Allegoria è una cosa che, posta in un determinato contesto, ne significa un’altra. Ad esempio l’immagine dell’aquila in un libro di scienze naturali rappresenta il maestoso volatile delle vette più alte, ma se la troviamo sul pulpito di una chiesa si può star certi che vi sta ad indicare l’evangelista Giovanni. Certo per svelare il secondo significato bisogna essere in possesso di una chiave di lettura, in questo caso la conoscenza del simbolo dell’evangelista,che in molte occasioni viene riservata solo ad un determinato numero di persone.
Nell’antichità l’allegoria era assai diffusa e poesia ed arte ne erano intrise. Molti dipinti del Rinascimento risultano stravaganti o incomprensibili per chi voglia fermarsi al significato primo delle immagini, ma acquistano un senso se possediamo la chiave per il senso secondo o allegorico. L’allegoria è dunque per sua natura iniziatica, può essere svelata a molti o a pochi, ma si deve comunque averne avuta da qualcuno la chiave.
Le immagini di nudità femminile avevano spesso nel Rinascimento un significato allegorico riservato ai dotti: il caso forse più conosciuto è quello della Venere di Botticelli che sorge nuda dalle acque.
E’ anche probabile che in più di un’occasione l’allegoria sia stata il pretesto per introdurre immagini inequivocabilmente erotiche in ambienti che per loro natura avrebbero dovuto essere invece austeri, come ad esempio gli appartamenti di un cardinale. Sappiamo infatti che l’ambiente della Curia romana nel XVI secolo era assai libertino. Ma questo non altera il senso secondo dell’immagine.
La Gioconda Nuda di Leonardo (dipinto perduto) era un’opera allegorica e probabilmente lo era anche la Gioconda del Louvre. Un dipinto che anche a livello inconscio dà la sensazione a chiunque l’osserva, di trovarsi di fronte ad una porta per il mistero.

“Il Velo della Gioconda”, prosegue una strada che avevo già tracciato con “Beatrice e Monna Lisa” del 2005 e “Monna Lisa: il volto nascosto di Leonardo” del 2007, ma allarga la ricerca a tutta l’opera di Leonardo, mettendone in luce aspetti finora poco conosciuti. Vi dimostro infatti che, oltre al Leonardo che ci viene ufficialmente presentato, razionale, scettico, alieno da ogni forma di magia o scienza occulta, ne esiste anche un secondo che non esita a investigare il mondo dell’arcano, dalla sapienza ermetica fino a quelle alchemica e cabbalistica, in una ricerca ossessiva dei misteri profondi e occulti della vita e della natura. La “Gioconda” rappresenta il momento culminante di questo Leonardo segreto.

La domanda da cui sono partito è perché Leonardo avrebbe sentito il bisogno di dipingere una seconda Gioconda, nuda per l’appunto. Si trattava infatti di una giovane donna seduta in un balcone, con le mani in grembo nella stessa posa della Monna Lisa, leggera torsione del busto, sguardo rivolto verso l’osservatore, uno sfondo di paesaggio brullo e roccioso. In altre versioni di scuola leonardesca la donna è appoggiata ad una balaustra e alle sue spalle si scorge una ricca parete di mirto, la pianta simbolo di Venere.
Un gioco? Un dipinto erotico?
Mi sono poi reso conto che anche Raffello, più o meno negli stessi anni di Leonardo, ha dipinto due volte la stessa donna: la prima volta vestita e coperta da un velo, lo sguardo rivolto verso l’osservatore, la seconda, seminuda, alle spalle una uno sfondo fitto di mirto. Si tratta dei due dipinti conosciuti il primo come La Velata, il secondo come La Fornarina, quest’ultimo in antico denominato “una Venere mezza nuda”. Entrambe hanno lo stesso volto, la stessa posa e si adornano dello stesso triplice gioiello. Anche questa volta un gioco? Oppure una segreta allegoria?

Ecco questa è la mia ipotesi: l’allegoria. Perché troppe sono le coincidenze. Raffaello, come tutti sanno, subiva profondamente l’influenza del maestro di Vinci e ne traeva spesso ispirazione. Lo considerava un grande filosofo e come tale dette il suo volto al Platone, che addita il cielo al centro dell’affresco della Scuola di Atene. Egli sapeva che la pittura di Leonardo nascondeva profonde verità filosofiche.
Ebbene, le due Gioconde, come le due donne di Raffaello, sembrano proporre una dottrina neoplatonica che costituiva una sorta di leit motiv del pensiero umanista. Esse sarebbero
allegoria delle due Veneri, quella “celeste” e quella “terrena”, che rappresentavano i due aspetti dell’anima, l’uno proteso verso la sapienza di Dio e l’altro verso la procreazione. I simboli ci sono tutti.
Ma non si trattava di una dottrina diffusa solo nel Rinascimento. Questa duplicità mistica emerge infatti anche nel pensiero di Dante, nascosta ancora una volta sotto il velo dell’allegoria: Beatrice rappresenta l’immagine dell’energia intellettiva dell’anima, mentre Matelda, che ne precede l’apparizione nella Divina Commedia, quella dell’energia procreativa. Nella Vita Nuova il ruolo di Matelda è ricoperto invece da Monna Vanna, che la precede come un araldo in una celebre canzone, e non mi sembra un caso che la Gioconda Nuda fosse denominata anche Monna Vanna. Il Rinascimento fu affascinato dall’opera di Dante, consapevole che vi si celavano allegorie e conoscenze segrete. Leonardo era anch’egli un indagatore degli scritti di Dante.
Ho maturato la convinzione che nella Gioconda si rifletta alla lettera la dottrina sull’anima esposta da Dante nel terzo libro del Convivio, che Leonardo ben conosceva perché più volte ne cita alcuni passi nei suoi appunti. Come la Beatrice di Dante, Gioconda sarebbe stata un soggetto allegorico, un’icona – talismano della parte celeste o intellettiva dell’anima, cioè di quella che la Gnosi identificava con l’eterna Sophia.

Il “Velo della Gioconda” non è tuttavia solo questo. Vi si parte dall’analisi di fatti che dimostrano come il dipinto più celebre della storia non sia il ritratto di Lisa, moglie di Francesco Del Giocondo, ma un’opera della tarda maturità di Leonardo, stilisticamente e concettualmente analoga alle opere del periodo romano dell’artista, certo posteriore al 1510. Recentemente è stata scovata nella biblioteca dell’università di Heidelberg una nota manoscritta di Agostino Vespucci, nella quale si afferma che nel 1503 Leonardo dipingeva effettivamente un ritratto di Lisa Gherardini, moglie di Francesco Del Giocondo, ma limitato al volto della donna. La nota di Heidelberg conferma il celebre racconto del Vasari, il quale nel parlare del ritratto di Lisa descrive solo una testa. Ma i dettagli anatomici riferiti dal pittore aretino differiscono da quelli che osserviamo nella Gioconda del Louvre. Si tratta dunque di due dipinti diversi? Molti studiosi lo pensano.
A sostegno dell’ipotesi di due soggetti diversi, sono le parole che lo stesso Leonardo, nei suoi ultimi anni di vita, ebbe a dire al cardinale d’Aragona: la donna misteriosa che noi conosciamo come Gioconda sarebbe stata dipinta su commissione di Giuliano dei Medici e dunque non di Francesco Del Giocondo. Leonardo fu al servizio di Giuliano dal 1512 al 1516. Lo stile della Gioconda coincide proprio con quello degli altri dipinti di Leonardo di questo periodo.
Si tratterebbe dunque di un’opera più tarda di una decina di anni, rispetto al ritratto di Monna Lisa Del Giocondo e sarebbe coeva alla Gioconda nuda, dipinta da Leonardo negli anni in cui era a servizio di Giuliano. La contemporaneità di esecuzione segna un altro punto a sostegno della mia ipotesi del legame simbolico fra i due dipinti.
Mi sono soffermato poi sull’affascinante ipotesi di Lillian Schwartz, la quale fin dal 1989 ha dimostrato la sovrapponibilità del volto della Gioconda con quello del presunto autoritratto di Leonardo conservato a Torino. Ella ne ha tratto la conclusione che nel dipinto Leonardo avrebbe idealizzato i propri lineamenti. A suo tempo ho dimostrato che la cosa sarebbe stata perfettamente coerente con la filosofia ermetica, che nel Rinascimento si era velocemente diffusa.
Ho dovuto tuttavia riconoscere che, seppur plausibile e suggestiva, la tesi di Lillian non è dimostrabile, perché la sovrapponibilità di lineamenti fra la Gioconda e l’autoritratto di Leonardo deriva probabilmente dall’uso di un canone proporzionale, che è comune anche ad altri ritratti.
Cercando invano conferme alla tesi di Lillian, ho infatti scoperto come sia i volti dipinti da Leonardo che il suo autoritratto rispondano tutti ai medesimi rapporti proporzionali e siano pertanto praticamente sovrapponibili. Così ho finito per confutare proprio ciò che avrei voluto confermare. Ovviamente di questo i giornali non hanno parlato, persi dietro al presunto scoop di una Gioconda Nuda.
Ma c’è di più: dietro ai dipinti più misteriosi, ed in primo luogo dietro alla Gioconda, ho individuato una seconda geometria invisibile, il cui simbolismo rinvia inequivocabilmente ai misteri di Sophia. La geometria della Gioconda sembra in particolare legarla al Cenacolo e ad un altro dipinto che il maestro tenne sempre con sé, la Sant’Anna con la Vergine ed il Bambino. In quest’ultimo si vela il mistero delle due Sophie gnostiche, immagini anch’esse, come le due Veneri platoniche, della duplicità dell’anima. La geometria nascosta permette di riconoscere una forte componente gnostica ed esoterica anche nella Vergine delle Rocce.
Nell’opera di Leonardo antiche dottrine gnostiche riemergono dunque con indiscutibile evidenza, filtrate attraverso la filosofia neoplatonica ed ermetica di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola.
L’ultima conclusione, se non la più sorprendente, a cui sono giunto, riguarda infine una misteriosa frase che Leonardo annotò fra i suoi studi sull’anima, al tempo in cui dipingeva la Gioconda:

“Lascia ora le lettere incoronate, perché son somma verità”.

Il riferimento alle lettere incoronate mi ha condotto su una strada che dimostra come Leonardo, seguendo Pico, si era immerso anche nel pericoloso oceano della Kabbalah, alla ricerca della matrice della vita e del segreto dell’infusione dell’anima nella materia.

In conclusione, domandarsi se sotto i colori della Gioconda vi sia o meno il ritratto di Lisa Gherardini è secondo me assolutamente ininfluente. Quel volto nascosto, che fu individuato dai raggi X sotto gli strati di pittura, può anche essere della moglie di Francesco Del Giocondo il cui ritratto, come abbiamo detto, rimase sempre e solo una testa priva del corpo e dello sfondo. La donna che Leonardo diversi anni dopo vi dipinse sopra su richiesta di Giuliano de’ Medici, filosofo e alchimista, sarebbe infatti tutt’altra cosa: una Dama misteriosa ed enigmatica, icona di una realtà soprannaturale che trascende la materia e partecipa solo dello Spirito. Nel sorriso della Gioconda, come in quelli della Beatrice di Dante e della Laura di Petrarca, si velerebbe il mistero insondabile dell’anima eterna e il segreto della vita.
Non credo che Leonardo abbia mai trovato la chiave cabbalistica per l’infusione dell’anima nella materia, ma una profonda suggestione emana dallo sguardo intenso e dal sorriso enigmatico della Gioconda, come se una sorta di vita misteriosa il dipinto la possegga davvero. Come un angelo, ella sembra custodire la porta dell’eternità, assisa ieratica al di sopra di un panorama fuori dal tempo e dallo spazio, un mondo intermedio fra cielo e terra dove, come intuì Jaspers, i corpi si spiritualizzano e gli spiriti si materializzano. Contemplandola, anche la nostra anima si immerge nella profonda magia di una Donna celeste, scesa da cielo in terra “a miracol mostrare”.

FONTE - http://www.renzomanetti.com




I MISTERI SU LEONARDO CONTINUANO :





























martedì 23 febbraio 2010

Sumeri ed UFO : uno stretto connubio

I Sumeri hanno tramandato alle civiltà seguenti tutte le loro conoscenze astronomiche e molto altro ma ...ai Sumeri chi ha insegnato tutto questo? Zecharia Sitchin è uno dei pochi al mondo in grado di leggere la loro scrittura a geroglifici arrivando a sorprendenti conclusioni (vedi link). Nella mia recensione sul film riguardo ai rapimenti alieni IL QUARTO TIPO (vedi post) misi subito in risalto come, durante un rapimento in una registrazione audio effettuata dall'apparecchiatura lasciata accidentalmente accesa, si udissero parole metalliche in sumero come pronunciate da robot . Molti, forse troppi indizi lasciano dubbiosi sul fatto che tutta la loro conoscenza fosse farina del proprio sacco bensì farina "piovuta dal cielo" o da "qualcuno in cielo"con tanto di astronavi, razze aliene ecc. disegnate sulle loro tavolette : i Nefilim (in ebraico) o Annunaki (in sumero).


Zecharia Sitchin

Egli attribuisce la creazione dell'antica cultura dei Sumeri ad una razza aliena, detta Nefilim (in ebraico) o Annunaki (in sumero), proveniente dal pianeta Nibiru, un ipotetico 12º pianeta del sistema solare dal periodo di rivoluzione di circa 3600 anni presente nella mitologia babilonese.






domenica 21 febbraio 2010

Film e mistero - Vita dopo la morte e Purgatorio : AMABILI RESTI


Si parla sovente di Inferno e Paradiso ma poco del mondo di mezzo, il Purgatorio come accade alla piccola Susie Salmon nel bellissimo film AMABILI RESTI. Eppure alcuni mistici affermarono di averne viste le anime durante le loro visioni, compresa Maria Simma.


(Estratto dall'omonimo libro dell'edizioni Segno)

LA VISIONE DEL PURGATORIO

"Il purgatorio si trova in parecchi luoghi", rispose un giorno Maria. "Le anime non vengono mai "fuori" dal purgatorio, ma "con il purgatorio". Maria Simma vide il purgatorio in diverse maniere: una volta in un modo ed un'altra volta in modo diverso. In purgatorio c'è un'immensa folla di anime, è un continuo andirivieni.

Ella vide un giorno un gran numero di anime assolutamente a lei sconosciute. Quelle che avevano peccato contro la fede portavano sul cuore una fiamma scura, altre che avevano peccato contro la purezza una fiamma rossa. Poi ella vide le anime in gruppo: preti, religiosi, religiose; vide cattolici, protestanti, pagani. Le anime dei cattolici soffrono più di quelle dei protestanti. I pagani invece hanno un purgatorio ancora più dolce, ma essi ricevono meno soccorsi, e la loro pena dura più a lungo. Icattolici ne ricevono maggiormente e sono liberati più in fretta. Ella vide pure molti religiosi e religiose condannati al purgatorio per la loro tiepidezza di fede e la loro mancanza di carità. Bambini di soli sei anni possono essere costretti a soffrire abbastanza a lungo in purgatorio.

A Maria Simma fu rivelata la meravigliosa armonia che esiste fra l'amore e la giustizia divina. Ogni anima è punita secondo la natura delle sue colpe e il grado d'attaccamento al peccato commesso.

L'intensità delle sofferenze non è la stessa per ogni anima. Alcune devono soffrire come si soffre sulla terra quando si vive una vita dura, e devono aspettare per contemplare Dio. Un giorno di purgatorio rigoroso è più terribile di dieci anni di purgatorio leggero. La durata delle pene è molto varia. Un prete di Colonia restò in purgatorio dal 555 fino alla Ascensione del 1954; e, se non fosse stato liberato dalle sofferenze accettate da Maria Simma, avrebbe dovuto soffrire ancora a lungo ed in modo terribile.

Ci sono pure anime che devono soffrire terribilmente fino alla fine del giudizio universale. Altre hanno solo mezz'ora di sofferenza da sopportare, o meno ancora: non fanno che "attraversare il purgatorio in volo", per così dire.

Il demonio può torturare le anime del purgatorio, soprattutto quelle che sono state la causa della dannazione di altre.Le anime del purgatorio soffrono con una pazienza ammirevole e lodano la misericordia Divina, grazie alla quale sono scampati all'inferno. Esse sanno che hanno meritato di soffrire e deplorano le loro colpe. Supplicano Maria, Madre della Misericordia.

Maria Simma vide pure molte anime che aspettavano il soccorso della Madre di Dio.
Chiunque pensa durante la vita che il purgatorio sia poca cosa e ne approfitta per peccare deve espiarlo duramente.

COME POSSIAMO VENIRE IN AIUTO DELLE ANIME DEL PURGATORIO?

1) Soprattutto con il sacrifico della Messa, che nulla potrebbe supplire.

2) Con delle sofferenze espiatorie: ogni sofferenza fisica o morale, offerta per le anime.

3) il Rosario è, dopo il Santo Sacrificio della Messa, il mezzo più efficace per aiutare le anime del purgatorio. Porta loro un gran sollievo. Ogni giorno numerose anime sono liberate per mezzo del Rosario, altrimenti avrebbero dovuto soffrire lunghi anni ancora.

4) Anche la Via Crucis può portare loro grande sollievo.

5) Le indulgenze sono di un valore immenso, dicono le anime. Esse sono un'appropriazione della soddisfazione offerta da Gesù Cristo a Dio, Suo Padre. Chiunque, durante la vita terrena, guadagni molte indulgenze per i defunti, riceverà pure, più degli altri nell'ultima ora, la grazia di guadagnare interamente l'indulgenza plenaria accordata ad ogni cristiano in "articulo mortis".E'una crudeltà non mettere a profitto questi tesori della Chiesa per le anime dei defunti. Vediamo! Se ci si trovasse davanti a una montagna piena di monete d'oro e si avesse la possibilità di prendesse a piacimento per soccorrere dei poveretti incapaci di prenderne, non sarebbe crudele rifiutar loro questo servizio? In parecchie località l'uso delle preghiere indulgenziate diminuisce di anno in anno, e così anche nelle nostre regioni. Bisognerebbe esortare maggiormente i fedeli a questa pratica di devozione.

6) Le elemosine e le buone opere, soprattutto i doni in favore delle Missioni, aiutano le anime del purgatorio.

7) L'ardere delle candele aiuta le anime: prima perché quest'attenzione d'amore dà loro un aiuto morale poi perché le candele sono benedette e rischiarano le tenebre in cui si trovano le anime. Un bambino di undici anni di Kaiser chiese a Maria Simma di pregare per lui. Era in purgatorio per avere, il giorno dei morti, spento al cimitero le candele che bruciavano sulle tombe e per avere rubato la cera per divertimento. Le candele benedette hanno molto valore per le anime. Il giorno della Candelora Maria Simma dovette accendere due candele per un'anima mentre sopportava per essa delle sofferenze espiatorie.

8) Il gettare dell'acqua benedetta mitiga le pene dei defunti. Un giorno, passando, Maria Simma, gettò dell'acqua benedetta per le anime. Una voce le disse: "Ancora!".
Tutti i mezzi non aiutano le anime nella stessa maniera. Se durante la sua vita qualcuno ha poca stima per la Messa, non ne approfitterà molto quando sarà in purgatorio. Se qualcuno ha mancato di cuore durante la sua vita riceve poco aiuto.

Coloro che peccarono diffamando gli altri devono espiare duramente il loro peccato. Ma chiunque abbia avuto buon cuore in vita riceve molto aiuto. Un'anima che aveva tralasciato di assistere alla Messa poté domandare otto Messe per suo sollievo, poiché durante la sua vita mortale aveva fatto celebrare otto Messe per un'anima dei purgatorio.

MARIA E LE ANIME DEL PURGATORIO

Maria è, per le anime del purgatorio, la Madre della Misericordia. Quando il suo nome echeggia in purgatorio le anime provano una grande gioia. Un'anima disse che Maria alla sua morte aveva domandato a Gesù di liberare tutte le anime che si trovavano nel purgatorio il giorno dell'assunzione, e Gesù aveva esaudito la preghiera di Sua Madre. Il giorno dell'Assunzione queste anime avevano accompagnato Maria in cielo, poiché ella era stata incoronata come Madre di Misericordia e Madre della Grazia Divina. Al purgatorio Maria distribuisce le grazie secondo la Volontà Divina: Ella passa sovente in purgatorio. Ecco ciò che vide Maria Simma.

LE ANIME DEL PURGATORIO E I MORENTI

Durante la notte di Tutti i Santi un'anima le disse: "Oggi, giorno di Tutti i Santi, moriranno al Voralberg due persone che sono in gran pericolo di dannazione. Queste non possono essere salvate se non si prega con insistenza per loro". Maria Simma pregò: fu aiutata da altre persone. La notte seguente un'anima venne a dirle che le due anime erano scampate dall'inferno ed erano arrivate nel purgatorio. Uno dei due malati si era tuttavia fatto amministrare i Santi Sacramenti, l'altro li aveva rifiutati. Secondo ciò che dicono le anime del purgatorio, molti andrebbero all'inferno perché si prega troppo poco per loro. Si potrebbero salvare molte anime dall'inferno se mattino e sera si recitasse questa preghiera indulgenziata con tre Ave Maria per coloro che muoiono il giorno stesso: "O Misericordiosissimo Gesù, che bruciate di un sì ardente amore per le anime, Vi scongiuro, per l'agonia dei Vostro Santissimo cuore e per i dolori della Vostra Madre Immacolata, di purificare con il Vostro Sangue tutti i peccatori della terra che sono in agonia e che devono morire oggi stesso. Cuore agonizzante di Gesù, abbiate pietà dei morenti".
Maria Simma vide un giorno numerose anime sulla bilancia fra l'inferno ed il purgatorio.

ISTRUZIONI

Le anime del purgatorio si preoccupano molto di noi e del regno di Dio. Ne abbiamo la prova da certi avvertimenti che esse diedero a Maria Simma. Quelli che seguono sono stati presi dalle sue note: "Non bisogna lamentarsi dei tempi che attraversiamo.E'necessario dire ai genitori che essi ne sono i principali responsabili. 1 genitori non possono rendere un peggiore servizio ai foro figli che assecondano tutti i loro desideri, dando loro tutto ciò che vogliono, semplicemente perché siano contenti e non gridino. L'orgoglio può così prendere radice nel cuore di un bambino. Più tardi, quando il bambino comincia ad andare a scuola, non sa né recitare un Pater, né fare un segno di Croce. Di Dio, alle volte, non sa assolutamente nulla. 1 genitori si discolpano dicendo che questo è il dovere del catechista e dei maestri di religione. Là dove l'insegnamento religioso non comincia dalla più tenera età la religione non tiene, più tardi.

Insegnate ai bambini la rinuncia! Perché oggi c'è questa indifferenza religiosa? Questa decadenza morale? Perché i bambini non hanno imparato a rinunciare! Essi diventano più tardi dei malcontenti e degli uomini senza discrezione che prendono parte a tutto e vogliono aver tutto a profusione. Ciò provoca tante deviazioni sessuali, le pratiche e l'assassinio anticoncezionali. Tutti questi fatti gridano vendetta al cielo! Chi non ha imparato da bambino a rinunciare diventa egoista, senza amore, tirannico. Per questo motivo oggidì c'è tanto odio e mancanza di carità. Vogliamo vedere dei tempi migliori? S'incominci dall'educazione dei bambini. Si pecca in maniera spaventosa contro l'amore del prossimo, soprattutto con la maldicenza, l'inganno e la calunnia. Da dove comincia? Nel pensiero. Bisogna imparare queste cose fin dall'infanzia e cercare di scacciare immediatamente i pensieri contrari alla carità. Si combattono subito tutti i pensieri contro la carità; e non si arriverà a giudicare gli altri senza carità.
Per ogni cattolico l'apostolato è un dovere.

Alcuni l'esercitano con la professione e altri con il buon esempio. Ci si lamenta che molti sono corrotti dai discorsi contro la morale o contro la Religione. Perché dunque gli altri tacciono? 1 buoni devono pur difendere le loro convinzioni e dichiararsi cristiani. Nel corso della storia della Chiesa la salute delle anime e della civiltà cristiana non sono forse state per i laici un dovere più urgente e più imperioso che ai giorni nostri? Ogni cristiano dovrebbe rimettersi a ricercare il regno di Dio ed a cercare di farlo progredire, altrimenti gli uomini non saranno più in grado di riconoscere il governo della Provvidenza.
La preoccupazione dell'anima non deve essere soffocata da quella esagerata del corpo.
Il 22 giugno 1955, durante la notte, sentii distintamente: "Dio esige un'espiazione!" Ed è con i sacrifici volontari, accettati con la preghiera, che si può espiare maggiormente. Ma se questi sacrifici non si accettano di buona voglia, Dio li esigerà con la forza. Perché è necessaria un'espiazione.

PERCHE DIO LO PERMETTE?

Molta gente si domanda: "È possibile che Dio permetta ai morti di apparire ai vivi?".
Ammettendo che tutto sia possibile alla Sua Bontà, perché Dio permette delle cose cosi straordinarie? Non è certamente per soddisfare la nostra curiosità: se per la Misericordia di Dio si producono dei fatti fuori dell'ordinario, essi sono tuttavia conformi al piano Divino della salvezza. Questo è il punto di vista nel quale ci si deve mettere per farsi un giudizio e per avere un vantaggio spirituale. Questi fatti sono di grande consolazione per i defunti, perché permettono loro di essere liberati dalle sofferenze, e spronano i vivi a pregare maggiormente per le anime dei purgatorio ed a distaccarsi da tutto ciò che è terreno.
Il grande pericolo di oggi è che le cose vanno materialmente troppo bene. Noi dobbiamo vegliare e preoccuparci maggiormente della vita eterna, poiché essa dura sempre. Non attacchiamo il nostro cuore a ciò che è temporale: di tutto ciò che passa noi non potremo mai portar via nulla. Proprietà, affari, belle case, tutto ciò passa e più presto di quello che pensiamo: noi potremo portar via solo le nostre buone opere. E' evidente che abbiamo bisogno dei beni terreni per vivere, ma si tratta di non attaccarvi il nostro cuore: ecco il problema.

Questo è il senso e lo scopo delle apparizioni delle anime dei purgatorio, come di tutte le altre rivelazioni private. E': il solo motivo per cui Dio permette tali contatti soprannaturali: il buon Dio Misericordioso si degni di darci la Sua benedizione e la sua Grazia per poterne trarre profitto. Un'anima a cui Dio vuoi dare una grazia particolare possiede già dalla nascita questa grazia, ma non è raro che essa sia accordata più tardi. Le vie dei Signore sono ammirevoli, insondabili. Un gran peccatore può diventare un gran Santo, come lo prova S. Agostino. Saulo è diventato San Paolo, e tutto ad un tratto.

DOMANDE DIVERSE

"Conosce le anime che si indirizzano a Lei?" mi si chiede.
Quelle che ho già conosciuto le riconosco subito; le altre no, a meno che non mi dicano chi sono. Esse appaiono il più delle volte in abito da lavoro. "Si può inviare un'anima dei purgatorio da un'altra persona?".

No, non si può. Avrei fatto volentieri; avrei voluto soprattutto mandarne una a quelle persone che non fanno che prendere in giro queste cose e che non credono che le anime dei purgatorio possano apparire. Mi fu pure domandato se si poteva far venire le anime. No, non si può. Esse vengono quando il Buon Dio lo permette per chiedere la loro liberazione.
"E' un peccato non credere alle apparizioni delle anime dei purgatorio?" No, non è un dogma di fede; non si è obbligati a crederci, ma non bisognerebbe riderne.

CHE COSA SANNO DI NOI LE ANIME DEL PURGATORIO?

Le anime sanno di noi e di quello che ci capita molto di più di quello che noi crediamo. Sanno, per esempio, chi prende parte alla loro sepoltura, se si prega o se si va semplicemente per fare atto di presenza, senza dire una preghiera, cosa che succede sovente. Esse sanno se si va via dopo l'offertorio, senza assistere alla Messa che sarebbe di gran profitto per loro. Se si assistesse con devozione alla funzione, invece di accompagnare solamente il corpo al cimitero, si aiuterebbero maggiormente i defunti, poiché, altrimenti, si va solo per essere visti, ciò che è di minimo profitto per loro.
Le anime sanno anche tutto ciò che si dice di loro, ciò che si fa per loro; esse sono molto più vicine a noi di quello che crediamo, esse sono vicinissime.

CIO CHE AIUTA LE ANIME DEL PURGATORIO

Il soccorso più prezioso che possiamo dare alle anime è senza dubbio la Messa, ma nella misura solo in cui i defunti l'hanno stimata da vivi. Anche qui si raccoglierà ciò che è stato seminato. Dei resto non contano solo le Messe dei giorni di precetto (domenica e feste), ma pure quelle dei giorni feriali. Certo, non tutti possono assistere alla Messa durante i giorni di lavoro; ognuno ha le proprie occupazioni professionali, i propri obblighi, e prima di tutto c'è il dovere.

Ma ci sono pure delle persone che potrebbero andarci senza mancare ad alcun dovere: i pensionati, per esempio, che sono in buona salute, solidi sulle loro gambe, che stanno vicino alla chiesa, ma che dicono: "Sono obbligato ad andarci la domenica, ma non durante la settimana; dunque non ci vado".

Coloro che pensano ed agiscono così devono aspettare a lungo dopo la morte affinché una Messa sia loro di profitto, poiché durante la loro vita ne hanno fatto poco caso. Se non possiamo andarci, inviamovi di frequente i ragazzi in età scolastica. In molti posti non ci sono più scolari alle Messe celebrate durante i giorni feriali. Se si sapesse qual è il prezzo di una sola Messa per l'eternità le chiese sarebbero piene, anche durante la settimana. Nell'ora della morte le Messe, alle quali abbiamo assistito con devozione durante la nostra vita, sono il nostro maggior tesoro; esse hanno per noi più valore delle Messe che sono celebrate per noi dopo la morte.

Parenti ed educatori si lamentano che i bambini, ai nostri giorni, sono indolenti e disobbedienti. Questo non è un effetto dei caso: una volta i bambini assistevano ogni giorno alla Messa degli scolari. La preghiera e la Comunione davano loro la forza d'essere obbedienti e fedeli al loro dovere. Nessun padre, nessuna madre, né nessun catechista può mettere nel cuore dei bambino ciò che Nostro Signore stesso gli dà in grazie durante la Messa e durante la Comunione. Mi è stato chiesto se è necessario accendere delle candele e dei lucignoli e se quest'atto di devozione ha un senso ed un valore. Certo, specialmente quando sono benedetti. E quando non lo sono, bisogna pensare che si comprano le candele ed i lucignoli per amore dei nostri defunti: ogni atto d'amore ha un gran valore.

L'acqua benedetta è preziosa, essa pure, quando si adopera con fede e fiducia. Ma è la stessa cosa aspergerne il suolo con una mano piena o spanderne solo una goccia, accompagnata da una giaculatoria; spesso vai meglio una sola goccia. Peccato che in molte case non ci sia più un'acquasantiera; non c'è quindi occasione di dare dell'acqua benedetta alle anime del purgatorio.

QUALI SONO I PECCATI PIU' SEVERAMENTE PUNITI IN PURGATORIO?

I peccati contro la carità: maldicenza, calunnia, rancore; le querele, provocate dalla cupidigia e l'invidia, sono severamente punite nell'altro mondo. Ecco, per esempio, un buono a nulla potrebbe essere un uomo come si deve, se fosse trattato con bontà e carità. Facciamo attenzione a non criticare, o ridere di certa gente: ciò nuoce gravemente alla nostra anima. Quante volte delle persone sole si lamentano che non le si aiuti un poco, mentre nelle vicinanze, forse a dieci metri di distanza, ci sono dei giovani. Ma a loro non verrebbe mai in mente di aiutare il loro vicino bisognoso di soccorso e fare un sentiero nello spesso strato di neve. E tuttavia, le opere di carità hanno la maggiore ricompensa in cielo.

Quante volte si pecca con le parole ed i giudizi sprovvisti di carità! Si potrebbe scrivere tutto un libro a questo proposito. Se seguissimo la consegna che ci dà la Madre di Dio: "Siate caritatevoli e buoni con tutti", noi potremmo convertire la maggior parte degli uomini e non avremmo da temere il comunismo.

Una parola può uccidere, una parola può guarire. L'amore copre la moltitudine dei peccati. Andiamo dunque con carità soprattutto davanti ai nostri nemici. Essere buoni con coloro che ci fanno dei bene è una cosa che fanno anche i pagani, dice Cristo. Ma fare dei bene a coloro che hanno verso di noi dei sentimenti ostili, ecco la vera attitudine cristiana; ecco ciò che il Salvatore ci domanda; così noi ci faremo un amico da un nemico, e potremo risparmiarci una gran parte dei purgatorio.

CHE COSA SOFFRONO LE ANIME DEL PURGATORIO?

Esse soffrono in mille modi diversi: ci sono tanti diversi purgatori come ci sono tante anime. Ogni anima ha la nostalgia di Dio, e questo è il più lancinante dei dolori. Inoltre ogni anima è punita in ciò e per ciò che l'ha fatta peccare. Succede, in una certa misura, anche sulla terra quando la punizione segue una cattiva azione: colui che mangia con eccesso soffre di mai di ventre e diventa troppo pesante; colui che fuma troppo è intossicato dalla nicotina ed è in pericolo di prendere un cancro ai polmoni.

Nessun'anima vorrebbe ritornare di nuovo sulla terra per vivere come prima nelle tenebre di questo mondo, poiché conosce cose di cui noi non abbiamo nessuna idea.

Le anime vogliono purificarsi in purgatorio come l'oro nel crogiuolo. Possiamo immaginarci una ragazza che volesse andare al primo ballo in abiti sporchi e spettinata? Un'anima che è in un luogo di purificazione ha una immagine così sfolgorante di Dio, che le è apparso in una bellezza, in una purità così splendida, così abbagliante, che tutte le forze dei cielo, non basterebbero a smuoverla per presentarsi davanti a Dio finché sussiste in essa la minima macchia. Solo un'anima luminosa, perfetta, osa andare verso l'incontro della luce eterna e della perfezione divina per contemplare Dio faccia a faccia.

BISOGNA PERDONARE AL DI LA DELLA TOMBA?

Un contadino venne un giorno a vedermi per lamentarsi: "Sto costruendo una stalla. Ogni volta che il muro arriva ad una certa altezza cade dall'altra parte. Noi abbiamo esaminato la cosa; non ci sono difetti, deve esserci qualcosa di soprannaturale lì dentro. Che si può fare?".

Gli domandai: "Hai forse un defunto che aveva qualcosa contro di te, o che era animato da sentimenti ostili nei tuoi riguardi?".

Rispose: "Per questo, sì! Pensavo giustamente che non potesse essere che lui che, anche sotto terra, non mi lasciasse tranquillo". "Chiede solamente" gli dico "che tu gli perdoni, null'altro". "Cosa? perdonargli? a lui che mi ha fatto tanti torti da vivo? perché possa andarsene in Cielo? No, no! Non ha che da espiare". Dovetti calmarlo: "Non se ne andrà subito in cielo; dovrà ben espiare questo torto, ma sopporterà più facilmente la sua pena. Non ti lascerà più riposo finché tu non gli abbia perdonato dal fondo dei cuore".
Non voleva saperne. Gli domandai allora: "Perché dici dunque nel Padre Nostro: "perdona le nostre offese come noi perdoniamo a coloro che ci hanno offeso?" Di fatto tu dici a Dio: "Non mi perdonare, perché anch'io non perdono al mio prossimo".
"Solo adesso capisco veramente", confessò.

Potei ancora indurlo a raccogliere tutte le sue energie per dichiarare: "SI, in nome di Dio, voglio perdonare, affinché Dio mi perdoni".

QUAL È L'EFFICACIA DELL'INDULGENZA PLENARIA CONCESSA IN PUNTO DI MORTE?

Un uomo mi fece chiedere un giorno di sua moglie morta. La risposta fu che quella donna era ancora in purgatorio. Notate che era membro di parecchie confraternita nelle quali si può guadagnare un'indulgenza plenaria in punto di morte. Si sarebbe dunque potuto pensare che non fosse più in purgatorio.

Domandai ad un'anima com'era possibile tal cosa. Ecco la risposta: "Per guadagnare pienamente un'indulgenza per se stessi, bisogna avere l'anima dei tutto staccata da ogni attaccamento terreno. Si domanda molto. Prendete, per esempio, una madre di cinque figli sul letto di morte. Ebbene, questa deve dire a Dio: "Voglio ciò che vuoi Tu, vivere o morire, come Tu vuoi".

Si domanda molto. Bisogna già essere vissuti in questi sentimenti per poter raggiungere un tal grado di distaccco nell'ora della morte.

CI SONO ANCHE BAMBINI IN PURGATORIO? (come nel film. Vedi sotto il trailer e la trama - NB)

Sì, anche dei bambini che non vanno ancora a scuola possono andare in purgatorio. Dal momento che un bambino sa che qualcosa non è buona e la fa, commette una colpa. Naturalmente, per i bambini il purgatorio non è lungo, né doloroso, poiché manca loro il pieno discernimento. Ma non dite che un bambino non capisca ancora! Un bambino capisce più di quello che noi pensiamo, ha una coscienza ben più delicata di un adulto.

QUAL' E IL DESTINO DEI BAMBINI MORTI SENZA BATTESIMO, DEI SUICIDI, etc..?

Questi bambini hanno pure un "cielo"; essi sono felici, ma non hanno la visione di Dio. Tuttavia, ne sanno così poco su questo tema che credono d'aver raggiunto ciò che esiste di più bello. Che ne è dei suicidi? sono dannati? Non tutti, perché, nella maggior parte dei casi, non sono responsabili dei loro atti. Coloro che sono colpevoli d'averli spinti al suicidio portano una responsabilità maggiore.

I membri di un'altra religione vanno pure in purgatorio?
Si, anche coloro che non credono nel purgatorio. Ma non soffrono tanto come i cattolici, poiché non avevano le sorgenti di grazie di cui noi disponiamo; senza dubbio, non hanno la stessa felicità. Le anime dei purgatorio non possono far nulla per se stesse?
No, assolutamente nulla, ma esse possono aiutarci molto se noi glielo chiediamo.

LA DONNA CHE AVEVA IL PURGATORIO PIU TERRIBILE

Un uomo mi scrisse una lettera: sua moglie era morta da un anno; da allora ogni notte sentiva bussare alla porta della sua camera. Mi chiese di andare a vedere cosa succedeva. Vi andai dopo avergli detto che non ero sicura di poter sapere qualcosa. Forse sua moglie non poteva ancora annunciarsi. Era necessario, in questo caso, abbandonare tutto nelle mani della Provvidenza. Dormii in quella camera. Verso le 23, 30 circa incominciò il rumore. Domandai subito: "Cosa vuoi? Che devo fare?". Non vidi nessuno e non ricevetti risposta alcuna. Pensai che quella donna non potesse ancora parlare. Dopo cinque minuti circa, intesi uno scalpitare spaventoso; arrivò un grosso animale, cosa che non mi era ancora capitata. Era un ippopotamo. Gettai subito dell'acqua benedetta e chiesi:

"Come posso aiutarti?". Nessuna risposta: era preoccupante. Allora venne il demonio, sotto forma di un orribile serpente gigantesco che strinse l'animale... per strangolarlo. Poi, improvvisamente, scomparve. Mi misi a fare dei ragionamenti tristi. Tuttavia, quella donna non doveva essere dannata. Poco dopo venne un'anima con un'apparenza umana, come vengono sempre da me; mi consolò: "Non temere: questa donna non è dannata, ma subisce il più terribile purgatorio che esista". E mi disse la causa. Costei era vissuta, per decine d'anni, in inimicizia con un'altra donna: inimicizia di cui ella era la causa. La sua nemica aveva voluto sovente fare la pace, ma ella si era rifiutata: anche durante la sua ultima malattia aveva rifiutato le sue richieste con sgarbo, ed era morta così.

Abbiamo qui una prova della severità con la quale Dio punisce coloro che si comportano in una maniera ostile riguardo al prossimo, poiché questo è un atteggiamento diametralmente opposto alla carità. Nella vita si arriva sovente a dispute, ma bisogna cercare di rimettere a posto, al più presto, ogni cosa: perdonare subito. La carità oltrepassa tutto; non si ripete abbastanza il valore della sua forza. Essa copre una moltitudine di peccati.



ESORTAZIONI DATE DALLE ANIME DEL PURGATORIO

Sovente ho ricevuto, da parte delle anime, comunicazioni, esortazioni e consigli pratici. Ne cito brevemente alcuni:
Il Santissimo Sacramento non è più onorato come dovrebbe essere. In molte chiese moderne non è più al centro della chiesa.

Sovente si fanno statue e quadri che scherniscono ciò che dovrebbero rappresentare. Anche il fatto di comunicarsi in piedi senza nessuna genuflessione è una mancanza di rispetto e di umiltà.

Il Rosario dovrebbe essere tenuto in maggiore onore. La preghiera dei Rosario ha una grande potenza: Maria è il soccorso dei cristiani.

Ovunque offendo la gente dicendo, per ordine delle anime dei purgatorio, che gli abiti immodesti come le minigonne spingono all'immoralità. Bisogna prendere le cose seriamente: le donne hanno su questo punto una grande responsabilità.

Le anime desiderano che si faccia il testamento in tempo. Quante querele nascono e si continuano per generazioni perché o non si è fatto testa, mento, o non si è fatto secondo giustizia.

È necessario che ciascuno contribuisca all'avvento dei Regno di Cristo. I genitori hanno una grande responsabilità quando non lasciano lavorare attivamente i loro ragazzi. La gioventù si rende colpevole quando, per amore dei propri comodi, tralascia di compiere una buona azione.

UNA MAESTRA Di SCUOLA TIROLESE CHE HA IL SENSO DELL'UMORISMO

Ho una compagna di scuola nel Tirolo, una buona anima, la quale, ammalatasi, sopportò la malattia con pazienza. Trascorso un anno dalla sua malattia, sentii che era in sanatorio, e decisi di andare a trovarla. Quando arrivai mi disse: "Perché il Buon Dio non mi ascolta? Potrei essere tanto utile a scuola".

"Sì; ma senta, Suora", cercai di confortarla, "lei deve sempre pensare che la sofferenza è un gran segno dell'amore che Dio ci porta". Allora, scherzando, mi rispose: "Vorrei che Egli, per un po' di tempo, non mi amasse così tanto!".

TU DEVI SANTIFICARE LA DOMENICA

Un'anima mi ha incaricato di menzionare sempre la santificazione della festa quando tengo delle conferenze. Infatti in questo giorno si fa del lavoro inutile, che non è assolutamente necessario.

Inoltre si deve assistere la domenica alla S. Messa, e non il sabato. La S. Messa dei sabato è stata introdotta solo per coloro che non hanno la possibilità di ascoltarla la domenica. Quando dei giovani vogliono fare una escursione, allora vanno a Messa il sabato. Ciò è permesso. Ma non è permesso farlo per abitudine: io vado il sabato, così la domenica non sono obbligata ad andarci. Così non si può fare. Davanti a Dio questo non vale! Le anime dei purgatorio dicono che il rito latino deve restare vicino a quello nella lingua materna, affinché anche i fedeli che parlano altre lingue possano partecipare con raccoglimento alla celebrazione festiva. Così desidera anche il Papa.

NON CI SI CURA PIU' DI RICONOSCERE I PECCATI

In molti luoghi anche la confessione è stata messa fuori uso.
La confessione è un sacramento istituito da Cristo e non dalla Chiesa, come molti credono. Cristo infatti disse: "Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saranno ritenuti a chi li riterrete" (Gv. 20, 23). Quindi i peccati devono essere confessati, altrimenti come può il sacerdote decidere se si devono rimettere o no?

Una persona mi chiese un giorno: "Ma Cristo non disse che si deve andare a dire i peccati in confessionale". Al che io risposi: "No, questo Cristo non lo disse. Se lei preferisce può confessarsi davanti alla gente, in modo che il sacerdote possa darle l'assoluzione fuori dal confessionale. Ma lei li deve accusare i suoi peccati".

Con varie scuse si cerca di sostituire la confessione particolare con una penitenza fatta di meditazione. In queste parrocchie le confessioni diminuiscono notevolmente. Roma e anche i Vescovi austriaci hanno dichiarato con grande chiarezza che in una confessione comunitaria non è possibile assolvere una persona che ha dei peccati mortali. Quindi la confessione comunitaria non potrà mai sostituire la confessione personale.
Così pure si cerca di non permettere di confessarsi ai comunicando, che per la prima volta ricevono il Signore. Ciò non è permesso. 11 Papa ha già dichiarato due volte che la confessione deve precedere la prima comunione. Purtroppo molti sacerdoti non seguono più il Papa, e ciò si dovrà amaramente scontare.

Le anime dei purgatorio ci esortano continuamente a pregare per il Santo Padre. Oggi è necessario attenersi scrupolosamente a ciò che dice il Papa, e seguire la propria coscienza.
Ad Uim incontrai dei ragazzi di quindici anni che non avevano ancora ricevuto il sacramento della confessione. Domandai perché non si fossero ancora confessati e mi risposero: "Nell'occasione della prima comunione non ci fu permesso. In seguito avremmo potuto confessarci nel sesto anno di scuola elementare. Ci domandammo a vicenda: -Tu hai ancora altri peccati in più di allora? - Veramente no, all'infuori di qualche lite, di qualche disubbidienza. - Bene! - ci dicemmo -Avremmo dovuto confessarci prima di ricevere la prima comunione. Non l'abbiamo fatto. Così, non avendo preso quell'abitudine, non ci confessiamo più".

Eppure la confessione prima di ricevere la prima comunione è tanto necessaria, proprio per la formazione della coscienza dei fanciulli. Molti innovatori non hanno seguito gli insegnamenti dei Vescovi, ed hanno caparbiamente rinnovato tutto di sana pianta. Ora essi devono constatare che i fedeli, ma soprattutto i bambini, non li ubbidiscono più.

Il Decreto della Congregazione per la propagazione della Fede A.A.S. N. 58/16 dei 29-12-1966, era stato già approvato da S.S. Paolo VI il giorno 14-10-1966 e venne pubblicato per volere di Sua Santità stessa. Tre mesi dopo la pubblicazione il Decreto venne convalidato, per cui non è più proibito divulgare - senza l'imprimitur - scritti riguardanti nuove apparizioni, rivelazioni, profezie e miracoli.

l Concilio Vaticano Il ha riconosciuto il diritto all'informazione leale fra le persone oneste; dopo il 15-11-1966 i canoni 1399 e 2218 non sono più in vigore.
(Documentazione cattolica n. 1488, pag. 327).

PURGATORIO

Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. La Chiesa chiama "Purgatorio" questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al Purgatorio soprattutto nei Concilii di Firenze e di Trento. La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, parla di un fuoco purificatore (Mt. 12, 31). Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la Sacra Scrittura già parla: "Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato (2 Mac 12, 46). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti.


AMABILI RESTI : TRAMA E TRAILER

Amabili resti (titolo originale The lovely bones) è un film del regista Peter Jackson tratto dall’omonimo romanzo di Alice Sebold ed è ambientato nel 1973, quando una quattordicenne di nome Susie Salmon viene violentata e uccisa brutalmente da George Harvey. Susie giunge nel mondo intermedio (PURGATORIO - NB) e da qui può seguire la vita della sua famiglia e dei suoi amici ma purtroppo non può interagire con loro. Se potesse, infatti, la prima cosa che Susie farebbe è quella di rivelare il nome del suo assassino che nel frattempo continua ad uccidere donne e ragazzine.
La polizia, infatti, nonostante il padre di Susie abbia individuato l’assasino di sua figlia non può catturarlo perchè ritiene che a suo carico non ci sono prove sufficienti che ne attestano la colpevolezza. Susie nel frattempo conduce una vita serena in un mondo apparentemente perfetto ma non riesce a darsi pace visto che oltre ai suoi amici e familiari vede anche il suo assassino è vuole fare qualcosa non solo per vendicarsi ma anche per far si che più nessuna donna o ragazzina muoia per colpa sua.




Questi erano gli amabili resti, cresciuti intorno alla mia assenza.
I legami, a volte esili, a volte stretti a caro prezzo, ma spesso meravigliosi. Nati dopo che me n'ero andata, e cominciai a vedere le cose in un modo che mi lasciava concepire il mondo senza di me..